Terminati i corsi della Reale Accademia di Belle Arti di Modena, esordì con l’interessante saggio “L’Ave Maria della sera”.
Tuttavia non insistette nel filone del generiamo ma si accostò, e vi rimase fedele, al paesaggio. Determinò il proprio linguaggio attraverso spunti che gli venivano, diretti o mediati, dai modi di Prospero Minghetti, di Giovanni Fontanesi e di Alessandro Calame, pur rielaborandoli in un’insistita, diretta osservazione della natura, che gli consentì un linguaggio originale e la fama di buon interprete romantico della campagna emiliana, unica palestra della sua attività.
Alla sensibilità nel delineare gli ambienti campestri e nell’evocare le suggestive rovine del mondo feudale, fa riscontro una notevole abilità tecnica di resa delle frasche e della flora (in linea con una collaudata tradizione della scuola ottocentesca parmigiana), mentre denuncia evidenti carenze nell’introduzione della figura e nei tentativi di animare le proprie vedute. Prese parte a numerose esposizioni e, in occasione di quella vaticana del 1888, ricevette una medaglia di bronzo con “Rovine del castello di Canossa”, dipinto che come altri, quasi tutti conservati in collezioni private, riveste un notevole interesse iconografico.
Vedi: A.M.Comanducci, “Dizionario illustrato dei pittori e incisori italiani moderni”, vol. II, Milano 1962. (G.L. Marini)