Perché Daniele De Martino non canterà a Sant’Agata Bolognese e perché il problema è ben più serio di un testo intriso di cultura mafiosa
Daniele De Martino è un cantante che conta più di mezzo milione di seguaci sulla sua pagina facebook, ma il suo sbarco in Emilia è rimandato. Doveva esibirsi in una pizzeria a Sant’Agata Bolognese il 17 giugno scorso, ma lo spettacolo è stato annullato dopo che il questore di Palermo, Leopoldo Laricchia, ha emesso nei suoi confronti la misura di prevenzione dell’Avviso Orale. Motivata dal fatto, tra l’altro, che: “Il cantante con il suo comportamento ha messo in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica” con “espliciti messaggi che contengono una istigazione alla violenza, un’esaltazione delle gravi azioni antigiuridiche connesse alla criminalità organizzata, un’accettazione e condivisione di comportamenti e azioni contrari ai valori morali della società civile”.
Si chiamano neomelodici i cantanti come De Martino, ma di melodia nella sua recente canzone “Si nu pentito” non c’è neppure l’ombra. Ci sono invece, ricordano le associazioni che hanno lanciato l’appello per l’annullamento del concerto (Libera, Cgil, Cisl, Uil, Anpi, Arci e altri) espliciti attacchi ai collaboratori di giustizia.
Dice il testo della canzone: “Un vecchio amico te lo dice con il cuore, sei infame e non vali più niente. Si nu pentito, ci hai traditi, sei lo scuorno (la vergogna della gente), sei un pentito, un uomo fallito, hai dimenticato i compagni”. E nel finale una frase minacciosa: “Pure tra 100 anni ti posso trovare”.
Non sarebbero necessari tanti commenti se non fosse per una serie di fatti e di dettagli raccontati dal giornalista di Repubblica.it di Palermo, Salvo Palazzolo, che allargano lo spessore della vicenda ben oltre l’infelice inciampo di un cantante ossequioso della cultura mafiosa per la quale i collaboratori di giustizia sono “infami e traditori” che non meritano pietà.
La storia inizia proprio a Palermo non nella primavera 2021, quando De Martino lancia la sua nuova canzone, ma nel marzo di due anni prima, quando nella chiesa di Santa Teresa, affacciata sul cuore della città vecchia in piazza Kalsa, viene celebrata una messa solenne in ricordo del defunto Tommaso Spadaro, “Masino” per gli amici, morto agli arresti domiciliari all’età di 82 anni. È il “Re della Kalsa”, il padrino del contrabbando e della droga gestiti da Cosa Nostra, che al maxi processo si era definito “La Fiat di Palermo, per quanti posti di lavoro ho dato”. Chiamare posti di lavoro i servigi alla cosca sa di bestemmia, visto che l’uomo d’onore Tommaso Spadaro, arrestato per la prima volta dal giudice Giovanni Falcone con l’accusa di contrabbando, era stato in seguito condannato all’ergastolo per l’omicidio del maresciallo dei Carabinieri Vito Ievolella, ucciso a Palermo il 10 settembre 1981 mentre in auto aspettava che la figlia Lucia terminasse una lezione di scuola guida. Spadaro fu indicato come il mandante, mentre i collaboratori di giustizia Salvatore Cucuzza e Salvatore Cancemi confessarono di avere fatto parte del commando che sparò. Alla famiglia (mafiosa) degli Spadaro, i cosiddetti “pentiti” non vanno tanto a genio già da allora, e ancor meno li sopporta da quando Pasquale Di Filippo, marito della figlia di Tommaso Spadaro, diventa collaboratore di giustizia facendo arrestare tanti latitanti.
Cosa lega questa storia del 2019 con la canzone del 2021 di Daniele De Martino?
Almeno tre cose.
Primo: un giornalista di inchiesta che onora il suo mestiere raccontando da anni i retroscena della malavita organizzata di stampo mafioso a Palermo, senza aspettare i verbali di inchiesta e correndo per questo più di un pericolo. È Salvo Palazzolo, col quale ho avuto il piacere di dialogare un giorno indimenticabile del 2019 nel palazzo della Prefettura di Palermo, entrambi invitati dall’allora prefetto Antonella De Miro a parlare agli studenti della città. “Cosa Nostra e ‘ndrangheta: sistemi criminali a confronto” era il tema dell’incontro.
Secondo: l’eccezionale video notizia che proprio Salvo aveva realizzato in quel 2019 con riprese effettuate all’interno della chiesa di Santa Teresa, in occasione della cerimonia in ricordo di Tommaso Spadaro. Racconta Salvo in un suo articolo: “Quando padre Frittitta (il parroco) pronuncia il nome del defunto, le campane cominciano a suonare. La chiesa di Santa Teresa è affollata, l’organo intona le note più solenni. E il defunto diventa -nostro fratello Tommaso-”.
Ancora più incisivo il video in cui Palazzolo, con la telecamera in mano, incalza dopo la messa padre Frittitta. “Come ha potuto celebrare un messa per un mafioso, dunque per uno scomunicato?” chiede il giornalista, e il parroco visibilmente infastidito risponde: “Voi siete cattivi”, intendendo i giornalisti. E aggiunge guardando con astio Salvo Palazzolo: “Stia attento a come parla, perché altrimenti lei la paga. Perché il Signore fa pagare queste cose”.
Dovette allora intervenire l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, per censurare padre Frittitta, ricordando “l’inconciliabilità dell’appartenenza alle organizzazioni mafiose con l’annuncio del Vangelo”. Concetto che richiama un quarto di secolo dopo l’anatema verso i mafiosi lanciato da Papa Wojtyla nella Valle dei Templi, in quella Sicilia martoriata da Cosa Nostra.
Sempre Palazzolo ricorda che non fu solo padre Frittitta ad aver detto messa per Masino Spadaro, perché anche padre Angelo Li Calzi, cappellano del cimitero di Sant’Orsola in cui fu sepolto il boss, ne parla bene ricordando che “diceva il rosario ogni giorno”.
Forse per qualcuno è sufficiente un rosario al giorno per togliere il peccato mafioso di torno, ma non certo per Salvo Palazzolo, cattolico credente, che racconta sul suo giornale questa indecorosa sudditanza chiedendosi retoricamente: “Ma i mafiosi non erano scomunicati?”. E neppure presumibilmente per Lucia Ievolella, la figlia del carabiniere ucciso nel 1981, stupita quando apprende che Tommaso Spadaro è morto agli arresti domiciliari nella propria abitazione, a Perugia, e non nel carcere dove immaginava si trovasse. Carcere di Spoleto dove tra l’altro Spadaro ha potuto studiare filosofia e laurearsi con 110 e lode. Questo è positivo, perché lo studio per i carcerati è molto meglio e meno barbaro e anticostituzionale delle manganellate sulla testa, anche se il titolo della tesi, per un mafioso omicida, suscita qualche perplessità: “La non violenza e i fondamenti della religione di Gandhi”.
Terzo, e decisivo, per legare tutta la storia: è sempre Salvo Palazzolo che pubblica su Repubblica, e siamo ai giorni nostri, i selfie della pagina facebook del cantante De Martino in cui si vede il neomelodico baciare sulla guancia il boss Francolino Spadaro, figlio di don Masino, da poco scarcerato assieme al fratello Nino. Sono due delle persone inguaiate dalle rivelazioni del genero di Tommaso Spadaro, il collaboratore di giustizia Pasquale de Filippo. E quel “Pure tra 100 anni ti posso trovare” della canzone è presumibilmente riferito a lui, perché Francolino e Nino Spadaro sono due delle persone alle quali i “pentiti” hanno dato molto fastidio. A queste pubblicazioni il cantante Daniele de Martino risponde con un post: “Giornalisti siete senza scrupoli, siete senza ritegno, siete marci dentro. In particolare questo giornalista Salvo Palazzolo: vergognati di tutto quello che stai scrivendo”.
De Martino non ha presumibilmente gradito la pubblicazione di quella foto, come non ha gradito i puntuali articoli di Palazzolo che hanno raccontato le sue visite a casa del boss Jari Massimiliano Ingarao, 26 anni, volto della nuova generazione della storica famiglia mafiosa del quartiere Borgo Vecchio, a due passi dal porto di Palermo.
Si potrebbe andare oltre, ma a questo punto è bene spostarsi da Palermo, per dire che Daniele De Martino ha tantissimi seguaci anche in Campania, dove il cantante se l’è presa con il consigliere regionale di Europa Verde Francesco Emilio Borrelli, reo di avere chiesto una legge contro “l’apologia della camorra”, aggiungendo che la canzone “Si nu pentito” segna “l’ennesima pagina vergognosa realizzata da alcuni artisti che inneggiano alla mentalità camorrista del clan esaltandone i codici criminali”.
Anche in Puglia c’è chi non aveva gradito i testi del cantante e già nel 2019, ad una sagra di Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, il sindaco Davide Carlucci aveva sospeso il patrocinio morale alla manifestazione. Una canzone raccontava l’affiliazione di un ragazzo, un’altra titolata “Comando io” parlava di un boss uscito dal carcere per ammazzare il killer del padre.
Poteva cantare a Sant’Agata Bolognese il neomelodico Daniele de Martino?
No, dicono gli organizzatori della protesta che ha chiesto e ottenuto l’annullamento del concerto: “Viviamo in una regione che ha conosciuto e conosce gravissimi fenomeni di infiltrazione da parte delle mafie: ‘ndrangheta, camorra, Cosa Nostra in primis. Questa terra ha già purtroppo pagato un prezzo altissimo a causa della penetrazione della criminalità organizzata. È ora di costruire un argine definitivo”.
E così a Sant’Agata, mercoledì 14 luglio, si parla di contrasto alle mafie, non di contrasto “ai pentiti”.
È un risultato importante, e immaginiamo farà piacere anche a Salvo Palazzolo, laggiù in Sicilia, dove è ancora molto difficile annullare i concerti.
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