di Paolo Bonacini, giornalista
“Nel corso dell’intero processo Aemilia sono emerse le proficue collaborazioni instaurate tra l’imprenditoria emiliana e la ‘ndrangheta. Analizzando una vicenda estorsiva è emersa la figura dell’imprenditore modenese Augusto Bianchini… Il suo rapporto con esponenti del sodalizio mafioso affonderebbe le radici in un tempo assai più risalente, grazie alla collaborazione instaurata sull’altro terreno elettivo di azione del binomio imprenditoria/‘ndrangheta, sarebbe a dire quello della falsa fatturazione.”
Dice così la sentenza di Reggio Emilia introducendo il tema delle attività illecite compiute in Emilia Romagna dopo il terremoto del 2012. Un tema, aggiunge la stessa sentenza, “Complesso. Forse uno dei più complessi dell’intero processo.” Tanto complesso che le motivazioni della sentenza di primo grado si occupano dei suoi protagonisti e dei relativi capi di imputazione per oltre 400 pagine sulle 3.000 complessive.
La storia approda oggi al processo d’Appello di Bologna, con l’imprenditore Augusto Bianchini (9 anni e 10 mesi di condanna in primo grado, con l’aggravante del concorso esterno ad associazione mafiosa), la moglie Bruna Braga (4 anni) e il figlio Alessandro (3 anni) seduti in quarta fila ad ascoltare prima la relazione della Corte, poi la dott.ssa Lucia Musti della Procura Generale, infine i propri avvocati difensori.
Tema tra i più complessi, dunque, ma anche tra i più illuminanti del colpevole rapporto, dice il Sostituto Procuratore Lucia Musti nel chiedere la conferma delle condanne, “tra l’imprenditoria emiliana e la ‘ndrangheta imprenditrice; una stabile e illecita collaborazione capace di costruire affari economici e di sfruttare i lavori pubblici”.
L’evento sismico che sconvolge l’Emilia nel 2012 “crea le condizioni perfette” dice ancora la sentenza, “per il pericoloso sviluppo di questa illecita collaborazione. L’impresa di Bianchini dimostra, in tutta la sua portata, la sua utilità strumentale per l’associazione mafiosa e la sua capacità di favorirne l’infiltrazione nell’attività di ricostruzione, peraltro operando in uno dei settori, quello dei lavori pubblici, caratterizzati da una illecita gestione clientelare da parte degli amministratori pubblici”. È il cerchio perfetto che viene disegnato e consumato mentre la comunità locale vive il dramma della morte e della devastazione prodotta dal terremoto. La Bianchini Costruzione ottiene appalti diretti dal Comune di Finale Emilia e indiretti da grandi cooperative operanti nel territorio regionale, alle quali si offre con prezzi concorrenziali, sfruttando la mano d’opera a basso costo fornita dalla ‘ndrangheta emiliana di Michele Bolognino, che Bianchini conosce almeno dal 2005, e Giuseppe Giglio. “Questa organizzazione è stata elevata a sistema”, sottolinea l’avv. Andrea Ronchi in appello per la parte civile CGIL, e questa penale responsabilità condanna i lavoratori ad essere sfruttati, sottopagati e minacciati, mentre impedisce ai sindacati di svolgere la propria funzione di rappresentanza.
Gli appalti comunali per queste attività arrivano perché il responsabile dei Lavori Pubblici Giulio Gerrini (condanna definitiva a due anni) è il santo protettore di Bianchini, che riceve dall’amministrazione di Finale Emilia un premio del 2% sul monte lavori assegnati (ci comprerà una barca a vela). A conferire il premio è un altro dirigente, Giuseppe Silvestri, che diventerà presidente della Bianchini Costruzioni srl dopo la sua esclusione dalla White List. E quasi nessuno in Comune, mentre si consuma questo sfregio al rispetto delle norme e delle funzioni pubbliche, sembra accorgersi dell’arbitrio, come testimoniano alcune sconfortanti deposizioni in aula a Reggio Emilia. Le abbiamo riassunte allora nelle “tre leggi fondamentali dell’omertà” negli Enti Pubblici che restano sempre di grande attualità:
1) Se qualcuno sopra di me mi ordina di fare una cosa, la faccio e taccio.
2) Se qualcuno al pari di me commette un illecito, non è compito mio denunciarlo.
3) Se qualcuno sotto di me mi segnala un illecito, faccio finta di non averlo ascoltato.
Ma la Bianchini Costruzioni non ha santi protettori solo in Comune. Gli amici sono anche in parlamento e in prefettura, all’agenzia delle dogane e nel misterioso mondo dei servizi segreti. Personaggi che ora andranno a processo per “minacce a corpo politico, amministrativo e giudiziario dello Stato e rivelazione di segreti d’ufficio, con le aggravanti dell’abuso di potere, del metodo mafioso e della continuità nel reato”. Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia hanno cercato, con metodi illeciti ed intimidazioni, di ottenere la reiscrizione alla white liste della Bianchini Costruzioni srl, esclusa dopo le evidenze emerse dall’accurato lavoro degli investigatori. E’ di questi giorni l’autorizzazione della Giunta del Senato all’utilizzo dei tabulati telefonici del senatore Carlo Giovanardi, capofila secondo la procura antimafia emiliana di questo sistema di pressioni illecite.
Milioni di euro sono girati grazie a questa rete complessiva di relazioni, ma certamente non ne hanno beneficiato le popolazioni colpite dal sisma, che anzi si ritrovano a convivere con migliaia e migliaia di tonnellate di rifiuti tossici contenenti amianto e nella migliore delle ipotesi smaltiti illegalmente, quando non nascosti sotto i pavimenti degli EST, gli edifici scolastici temporanei e prefabbricati oggetto di appalto dopo il crollo delle vecchie scuole.
L’intera udienza di martedì 14 luglio è servita alla dott.ssa Musti per illustrare gli argomenti che spingono la Procura Generale a chiedere la conferma e l’inasprimento delle condanne di primo grado, visto che alcuni capi di imputazione hanno registrato anche assoluzioni definite “incomprensibili”. L’aggravante del “concorso esterno”, il 416 bis, è stato di nuovo chiesto anche per la moglie di Bianchini, Bruna Braga. Giovedì 16 luglio tocca ai difensori e sarà presumibilmente una richiesta di assoluzione per tutti.
Sono giorni importanti per Aemilia e per i processi collegati. Oltre a questa vicenda, che rappresenta uno degli snodi più significativi dell’intera inchiesta, c’è il processo in Corte d’Assise a Reggio Emilia dove venerdì 17 i giudici guidati dal dott. Dario De Luca si pronunceranno sulle quattro richieste di ergastolo avanzate dal PM Beatrice Ronchi per gli omicidi di mafia del 1992. Una settimana dopo, il 25 luglio, in Corte d’Appello a Bologna riprende il processo all’ex consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani dopo il rinvio deciso dalla Cassazione. Verrà a deporre una delle figure chiave di tutta Aemilia, l’ex prefetto di Reggio Antonella De Miro. Intanto per gli 82 indagati del processo Grimilde è terminata l’udienza preliminare e si separano i destini tra chi ha scelto il rito abbreviato e chi quello ordinario. Il primo correrà veloce, con la requisitoria dell’accusa prevista per la fine del mese. Il secondo, per i 22 imputati che hanno scelto il dibattimento, inizierà a Reggio Emilia il 16 dicembre, come deciso in questi giorni dal Giudice per le Indagini Preliminari dott. Sandro Pecorella. Reggio Emilia per competenza territoriale, perché il cuore operativo di Grimilde ruota tra i comuni di Brescello, Gualtieri e Viadana, dove le radici della ‘ndrangheta erano profonde. Dove personaggi noti e meno noti, a partire dalla famiglia di Francesco Grande Aracri, gestivano affari economici su vasta scala nel nord Italia con il consueto corollario di imprenditori, politici, prestanome e vincoli famigliari.
In attesa di queste grandi vicende l’appello di Aemilia ci porta anche piccole storie, come il costante sforamento dei tempi che porterà inevitabilmente ad allungare il troppo ottimistico calendario stilato dalla Corte. O come le dichiarazioni spontanee nei collegamenti in videoconferenza con i tanti imputati in carcere del processo. Particolarmente coloriti come sempre sono gli interventi di Francesco Amato. L’ultima volta che ha chiesto la parola non si è scagliato come suo solito contro i PM o la Corte alla quale ha anzi rivolto una quasi-supplica: “Signor Presidente, le faccio notare che sono ben due anni che io non ricevo la pensione!”
I giudici Pederiali, Passarini e Silvestrini non hanno commentato, ma gli sguardi era come se dicessero: “E noi cosa ci possiamo fare?”
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