Verità per Giulio Regeni

CUTRO STA A EDO COME 1 A 400

Tre giorni, tre processi di mafia che hanno a che fare con la cosca emiliana di ‘ndrangheta e con il baricentri del suo agire: Brescello e la provincia reggiana. Mercoledì 13 a Bologna udienza preliminare di Grimilde, con alla sbarra i Grande Aracri ancora liberi dopo Aemilia, i loro parenti viadanesi e i loro compagni di affari, anzi affaroni, economici illeciti.

di Paolo Bonacini, giornalista

Tre giorni, tre processi di mafia che hanno a che fare con la cosca emiliana di ‘ndrangheta e con il baricentri del suo agire: Brescello e la provincia reggiana. Mercoledì 13 a Bologna udienza preliminare di Grimilde, con alla sbarra i Grande Aracri ancora liberi dopo Aemilia, i loro parenti viadanesi e i loro compagni di affari, anzi affaroni, economici illeciti. Giovedì 14, nella stessa aula del carcere della Dozza, ripresa dell’Appello di Aemilia, ancora nella fase confusa delle udienze che decidono le regole d’ingaggio, con la complicazione del Covid che rende le regole e la fase ancora più confuse. Venerdì 15, come quando ansiosi si volta pagina in un libro per conoscere il proseguo della storia, ascolteremo Beatrice Ronchi, PM al processo per gli omicidi del ‘92 in Corte d’Assise a Reggio Emilia, bruscamente interrotta a febbraio nella sua requisitoria dall’epidemia. Sapremo nel fine settimana se e quali di queste udienze si svolgeranno regolarmente, perché almeno nell’aula dei due processi bolognesi i giudici dovranno trovare soluzione ad un problema matematico non indifferente: consentire a centinaia di persone, tutti coloro che ne hanno diritto, di partecipare all’udienza in un luogo con soli 50 posti disponibili per i limiti imposti dal distanziamento sociale.

Nell’attesa vale la pena guardare a cosa succede fuori dalle aule di giustizia e un aggiornamento della situazione, almeno a Reggio Emilia, arriva dalla relazione introduttiva del prefetto dott.ssa Maria Forte, letta davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia nella seduta del 4 febbraio scorso, quando ancora si girava senza mascherina. Di quell’incontro era circolato un breve video con domande e risposte, ma è la trascrizione dattiloscritta di questa introduzione, diffuso dall’agenzia Dire, che ci fornisce un quadro complessivo dello stato di salute e di malattia, sia dei territori che delle mafie. Aggiornato al 2019.

Dice subito la dott.ssa Forte che l’azione della prefettura si è concentrata, oltre che sulle aree della sicurezza e della legalità, anche sui problemi dell’integrazione, legati all’elevato numero di immigrati presenti sul territorio, che il prefetto indica in circa 65.000 residenti in provincia. Tra questi “il territorio reggiano annovera una presenza più che significativa di persone provenienti dalla costa ionica calabrese e in particolare dal comune di Cutro, circa 10mila, la cui appartenenza alla ‘ndrangheta, per taluni di essi, è ormai giudiziariamente confermata e sottolineata anche nel 2019 da un’energica attività interdittiva adottata dalla prefettura”. Quel “taluni di essi” lo intendiamo come una stretta minoranza; piccola ma sufficiente a dare risalto e spessore alle attività mafiose, e soprattutto sempre collegata, secondo il prefetto, alla cosca Grande Aracri: “Essi hanno orientato in modo prevalente i propri interessi speculativi inizialmente verso il settore dell’edilizia privata, per poi inserirsi nel settore degli appalti pubblici, dell’autotrasporto e dei pubblici esercizi. Ciò è dimostrato anche dagli esiti di recentissime risultanze, condotte nel corso del 2019, nell’ambito dell’attività interdittiva antimafia demandata alla prefettura. Cito le verifiche effettuate su una richiesta di iscrizione alle white list, avanzata nel settembre del 2017, di un’azienda con sede a Brescello. La ditta è riconducibile ai Grande Aracri  e nei confronti della stessa è stata negata l’iscrizione ed emessa specifica interdittiva”. Aggiunge poi Maria Forte: “Lo spessore criminale dell’organizzazione mafiosa facente capo alla cosca Grande Aracri è stato confermato anche da recenti sviluppi, risalenti al marzo 2019, delle indagini in territorio veneto, modenese e parmense, con arresti e nuovi indagati accusati a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, finalizzata a riciclaggio, usura, sequestro di persona, estorsione ed emissione di fatture inesistenti. Nell’ambito della stessa indagine sono stati eseguiti anche in Lombardia sequestri di denaro contante, conti correnti, quote di società, beni mobili ed immobili”. A seguire il prefetto cita l’operazione “Grimilde” delle Squadre Mobili di Reggio, Bologna, Parma e Piacenza, che il 25 giugno 2019 ha portato all’arresto “di Grande Aracri Francesco, Grande Aracri Salvatore e Grande Aracri Paolo”. Accusati del 416 bis, aggiungiamo noi, assieme all’altra figlia di Francesco, Rosita detta Rossella, e tutti residenti a Brescello.

Sono personaggi, dice il prefetto, che si muovono con “la massima discrezione e scarsità di azioni delinquenziali che possano destare allarme sociale ed attirare l’attenzione delle forze di polizia. È una mafia che si arricchisce, insinuandosi nell’economia legale, anche attraverso l’usura, l’estorsione e il sistematico ricorso a fatturazioni per operazioni insistenti o di minore importo. Devo evidenziare” aggiunge Maria Forte “per quanto riguarda il possibile scenario post sentenza Aemilia, che l’entità delle pene, il numero degli imputati condannati e gli ingenti sequestri patrimoniali rappresentano indubbiamente una battuta di arresto per la consorteria criminale capeggiata da Grande Aracri Nicolino, che sarà inevitabilmente costretta, con gli esponenti ancora in libertà, a riorganizzare le proprie attività sul territorio. Si osserva, al riguardo, che dal 2015 nella provincia di Reggio Emilia si è registrata una drastica riduzione dei reati che maggiormente avevano creato allarme sociale, in particolare incendi e altri episodi intimidatori. Sulla possibile riorganizzazione degli affari dell’associazione, va segnalato l’arresto operato dalla Squadra Mobile della questura di Reggio Emilia, avvenuto nel marzo 2019, a carico di due persone di origine cutrese, collegate a famiglie di ‘ndrangheta, sorprese a detenere oltre un chilogrammo di cocaina. L’arresto è particolarmente evocativo di una possibile nuova strategia criminale, poiché l’attività della cosca aveva fatto registrare, negli anni, un’evoluzione di tipo assolutamente diverso” con il prevalere “di reati di natura prevalentemente finanziaria ed economica”. Reati che però non sono venuti meno, stando alle parole successive del prefetto: “Si annovera la presenza di diversi soggetti riconducibili a ditte nei cui confronti sono state nel tempo adottate misure di prevenzione, condanne, provvedimenti interdittivi antimafia. Tra questi, nel 2019 sono stati trattati personaggi contigui ai Grande Aracri, a Floro Vito, agli Iaquinta, a Lonetti e ai Muto. Si è registrata in modo inequivocabile la costante strategia di penetrare il sistema economico con società di comodo, facenti capo a prestanome e parenti. In taluni casi si è trattato di ditte individuali con iscrizione alla camera di commercio della durata biennale così da rendere difficili le necessarie verifiche, ovvero di casi più complessi riferiti a società i cui titolari, amministratori o consiglieri, sono stati continuamente cambiati per dirottare o fuorviare gli accertamenti e allungarne a dismisura i tempi. Solo attraverso specifici approfondimenti, divenuti nel tempo sempre più complessi e specialistici, è stato possibile intercettare le reali finalità illegali. E si può constatare che il gruppo mafioso Grande Aracri ha nel territorio della Bassa Reggiana ancora la sede delle proprie attività delittuose. In sintesi si crea un terreno favorevole al concretizzarsi di fenomeni fortemente distorsivi delle regole della concorrenza, che ha consentito agli imprenditori illegali di realizzare cospicui illeciti e arricchimenti. In ordine alle risultanze dell’attività di prevenzione antimafia, sono stati adottati 15 provvedimenti definiti interdittive. L’esito delle istruttorie sviluppate nel corso del 2019 ha palesato l’interesse della ‘ndrangheta nel settore dei lavori pubblici, della demolizione di edifici e altre strutture, del movimento terra, dello smaltimento rifiuti, noli a freddo di macchinari, ma anche in attività commerciali e produttive”.

Venendo ai beni sequestrati e confiscati il prefetto dice di avere avviato un programma di incontri “proprio all’inizio del 2020, finalizzati alla verifica di ipotesi di destinazione. Ciò in quanto al momento a Reggio Emilia non risulta riassegnato alcun bene disponibile, sia per lo stato delle procedure, sia per le caratteristiche e le condizioni dei beni, sia per la scarsa conoscenza nel territorio delle procedure di destinazione. Quanto ai rapporti con gli amministratori locali, cui non manca una decisa consapevolezza della pericolosità e della pervasività del fenomeno, costante è l’opera di sensibilizzazione che viene svolta dalla prefettura”.

Infine, per quanto riguarda il comune di Brescello, dice il prefetto: “Dal momento dell’insediamento della nuova amministrazione, la prefettura ha posto in essere un costante monitoraggio con riferimento alle delibere adottate e agli affidamenti determinati. E’ stato così possibile intercettare anche l’istanza di Grande Aracri Francesco per l’iscrizione nell’elenco delle white list della prefettura di Reggio Emilia, avanzata l’8 settembre 2017, quando ancora il comune risultava commissariato”.

La dottoressa Maria Forte aggiunge poi a beneficio della Commissione Antimafia alcune note sulla criminalità straniera operante in provincia. “A Reggio Emilia è presente e radicata una nutrita comunità di soggetti provenienti dalla Georgia, in particolare dalla città di Kutaisi, composta prevalentemente da donne impiegate quali badanti. Accanto a tale laboriosa comunità è però cresciuta una radicata, organizzata e non estemporanea presenza criminale di cittadini georgiani, dediti a reati di possesso di documenti falsi, ricettazione, furto in abitazione e anche di due tentati omicidi nei confronti di agenti delle Volanti intervenuti durante un tentativo di furto. Con l’operazione ‘Oro Cash’, si sono identificati questi criminali georgiani anche a Catanzaro, Roma, Torino. Meditavano addirittura di commettere un omicidio per poter prendere il controllo della comunità criminale di Reggio Emilia, che già dal 2008 costituisce un importante punto di riferimento per l’associazione, potendo essa contare su un’efficiente rete logistica”. Poi c’è anche “la comunità criminale nigeriana particolarmente attiva nel traffico di sostanze stupefacenti, come cocaina, marijuana ed eroina. In particolare, nell’area della stazione ferroviaria del Comune capoluogo ed in alcuni parchi cittadini, giovanissimi ragazzi nigeriani paiono essere subentrati, apparentemente senza una lotta cruenta, ai pusher di provenienza maghrebina”.

Questi ragazzi, che non bazzicano solo a Reggio Emilia ma in tutta la regione, arrivano dallo stato nigeriano di Edo: 4 milioni di abitanti che respirano l’aria di mare del Golfo di Guinea. A loro volta i georgiani di Kutaisi, a poche decine di chilometri dal mar Nero, sono 200mila. Forse avere memoria di cosa è successo l’altra volta, quando registravamo i primi atti della frangia criminale emigrata dal sud, sarebbe buona cosa. Venivano negli anni Settanta e Ottanta da un paese, come ci ricorda il prefetto Maria Forte, che si chiama Cutro e conta solo 10mila abitanti. Il rapporto è di 1 a 20 con gli euroasiatici, 1 a 400 con gli africani: non c’è da stare allegri.

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