di Paolo Bonacini, giornalista
Alle 9,40 di martedì 8 maggio 2018, presso il carcere di Rebibbia, a Roma, l’ispettore superiore Dario Rinna scrive a verbale che inizia il collegamento a distanza con l’aula bunker di Reggio Emilia, dove si svolge l’ennesima udienza del processo Aemilia. Il collegamento serve per consentire all’imputato Antonio Valerio di assistere e partecipare al dibattimento. Otto ore più tardi la video conferenza viene interrotta ma l’ispettore Rinna informa che durante l’udienza è stato acquisito un memoriale di 106 pagine, dattiloscritto e firmato dallo stesso Antonio Valerio, dietro autorizzazione del presidente del collegio giudicante Francesco Maria Caruso. Il giorno dopo la direttrice di Rebibbia Rosella Santoro spedisce il memoriale alla neo presidente del tribunale di Reggio Emilia, Cristina Beretti, a sua volta membro del collegio giudicante di Aemilia.
Il memoriale è una sorta di testamento attraverso il quale Valerio dichiara il proprio pentimento, chiede scusa per il male che ha contribuito a diffondere a Reggio e in Emilia, elenca nomi, fatti e caratteristiche essenziali dell’associazione ‘ndranghetista presente sul territorio.
Il processo d’appello di Aemilia inizia a Bologna il 13 febbraio; quello per gli omicidi di mafia del 1992 si avvia alle conclusioni in Corte d’Assise a Reggio Emilia. In entrambi i dibattimenti gli avvocati difensori cercheranno presumibilmente di incrinare l’attendibilità di Valerio; di mettere in discussione le sue certezze e soprattutto le sue chiamate in correità che incastrano tanti imputati. Intanto quel memoriale aiuta a capire la complessa psicologia di Antonio Valerio e soprattutto di cosa parliamo quando parliamo di ‘ndrangheta a Reggio Emilia e in regione.
Comincia con una “Lettera di scuse e di reale e concreto pentimento” in cui si legge:
“Premetto che ho raccolto il coraggio di guardare dentro di me e ho fatto una profonda ricerca interiore. Mi sono macchiato di gravissimi reati di sangue a Reggio Emilia, in provincia e in Calabria. Dai lontani fine anni Ottanta al 2017: 30 anni di storia criminale di stampo ‘ndranghetistico. Vogliate accettare le mie doglianze più sentite per avere contribuito ed essere stato uno di quei lestofanti che ha traghettato negli anni a rendere Reggio Emilia da città isola felice a città di ‘NDRANGHETA. Spero vivamente che la popolazione tutta, si uniscano in un solo grido più forte delle armi che ieri sparavano a Reggio Emilia, gridando oggi, perché non è mai tardi: LA ‘NDRANGHETA FA SCHIFO!!!!”
I maiuscoli sono suoi, di Valerio, che nelle successive pagine sviluppa e mette in parallelo due vicende collettive: quella della penetrazione mafiosa in provincia e quella delle udienze al processo Aemilia. La prima è riassunta nelle fasi storiche che caratterizzano l’evoluzione della ‘ndrangheta, la seconda è rivista attraverso i nomi e le deposizioni degli imputati eccellenti del processo, per metterne in risalto caratteristiche e legami.
Dice Valerio che “la consorteria a Reggio Emilia è da tempo consolidata e riconosciuta. Detto sodalizio è presente fin da metà degli anni ’80. La famiglia Grande Aracri e i suoi fedelissimi facevano una guerra intestina, cioè interna ai dragoniani (gli appartenenti alla cosca di Antonio Dragone) a partire da metà degli anni ’90”. L’elenco dei morti in questa guerra è lunghissimo e alla fine ne resta solo uno (di boss a Cutro); Nicolino Grande Aracri. Mentre dal 2004 “la locale di Reggio Emilia fa capo a Nicolino Sarcone, Alfonso Diletto, Francesco Lamanna. Occorre precisare” aggiunge Valerio “che dai primi anni ’90, rispetto ad altri gruppi malavitosi che gravitavano a Reggio Emilia, quello cutrese è il più numeroso e crescendo nel reclutamento degli associati, si rafforzava e si ampliava imponendosi nel corso degli anni in tutti i campi”.
L’autonomia della cosca di Reggio si afferma storicamente grazie alla diversa cultura con cui la famiglia Sarcone (Nicolino, Gianluigi, Carmine e Peppe) e il nutrito gruppo di “cristiani ‘ndranghetisti” su cui possono contare, affrontano le questioni interne. C’è sempre pronto un “gruppo di fuoco”, una sorta di “corpo riservato per le azioni di sangue” al quale appartiene lo stesso Valerio, ma l’omicidio è solo “l’estrema ratio”. Si legge nel memoriale: “Ai Sarcone, a Diletto, Bolognino. Valerio, Lamanna, ecc, non occorre compiere azioni violente per creare sudditanza o assoggettamento poiché ben si conosce la storia criminale a Reggio Emilia. Le operazioni antimafia ci hanno insegnato come non commettere gli errori del passato per la necessaria sopravvivenza del gruppo ‘ndranghetistico. Nicolino Grande Aracri a Cutro dirigeva anche le divergenze personali e aveva da gestire tutti i giorni una moltitudine di gente tanto che casa sua sembrava un Tribunale. Ma un tale movimento di persone e flusso di informazioni tra Bibbiano e Ghiardo, dove vivono i Sarcone, non sarebbe passato inosservato alle forze dell’ordine. A Reggio Emilia avrebbe avuto ben poca possibilità di sopravvivere la consorteria dal 2004 al 2015 con i vecchi metodi. Non canalizzare, non far confluire tutte le informazioni e le cosiddette ‘mbasciate sia in entrata che in uscita, come faceva invece Grande Aracri: da qui nasce la locale autonoma, parallela ed orizzontale, nel 2004”. E’ una rappresentazione assai lucida di ciò che differenzia profondamente la cosca emiliana dalla madre cutrese che resta comunque nel Dna degli affiliati. E quanto sia stata efficace nel tempo questa filosofia del “lavoro di squadra lontano dai riflettori” lo sottolinea Valerio in riferimento ai mille testimoni che si sono succeduti nell’aula bunker di Reggio Emilia: “A tutt’oggi si può assistere come le vittime e i testi che vengono in aula a testimoniare subiscono quello storico assoggettamento e in udienza si assiste al teatrino delle bugie, delle non verità, dei non ricordo. O si avvalgono della facoltà di non rispondere, i testi imputati, o sono del tutto reticenti”.
La seconda parte del memoriale mette a fuoco i singoli personaggi della ‘ndrangheta reggiana e commenta dichiarazioni e udienze del processo in corso. Diversi fogli dattiloscritti, datati 2 ottobre 2017, riportano sotto la dicitura “Blocco border-line” un lungo elenco di affari e attività illecite, molti dei quali sono stati semplicemente sfiorati o addirittura non trattati al processo Aemilia. Si va dalla gestione di sale per scommesse a traffici di auto in Germania, dal gasolio “vampirizzato” che arriva da mezza Europa ad affari con le cooperative reggiane di costruzione (Tecton, Orion, Unieco), da operazioni finanziare a Londra e affari a Santo Domingo alla gestione di pannelli solari e alla coltivazione di nocciole a Melfi e Potenza.
Sono 113 affari diversi e il più ghiotto è il numero 109, là dove si parla di una cena a Scandiano con Hermes Ferrari, violento e colorito personaggio del paese, venditore di lampade abbronzanti e buttafuori da night, arrestato nel 2012 per avere aggredito il console albanese colpevole di andare troppo lento sulle strisce pedonali. Ferrari aveva invitato anche lui a quella cena ma Valerio non poteva partecipare essendo agli arresti domiciliari. Gli appunti parlano del “contenitore dei voti a Montecchio della famiglia Vertinelli” e di “una palestra della quale Hermes Ferrari “si voleva appropriare tramite Valerio” e con l’idea che “avremmo fatto 50 e 50”. Valerio scrive che Ferrari gli mostrò orgoglioso le foto della cena alla quale parteciparono anche l’attuale deputato della Lega Nord Gian Luca Vinci e il leader del Carroccio Matteo Salvini. Sebbene non fossimo ancora in campagna elettorale per le regionali del 2020….
Il memoriale di Valerio contiene infine una poesia, della quale nel 2018 abbiamo pubblicato la prima strofa. Ce n’è un’altra che merita visibilità, perché riferita ad un omicidio, quello di Giuseppe Ruggiero a Brescello. Antonio Valerio è reo confesso: faceva parte di quel commando. E la strofa ci dice cosa provò dopo la spedizione omicida:
“Dall’ansia i conati, e la corsa affannata,
erano la consapevolezza di una vita levata
fra le pieghe del buio, e il torpore mi scuote.
Io mi sveglio ma, nel mio cuore notturno,
non trovo questo volto”.
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