L’8 febbraio è una data lanciata dalla rete regionale per la mobilitazione contro i CPR ( Centri di permanenza per il rimpatrio).
Una giornata in cui si svolgono presidi, eventi e conferenze stampa in varie città della regione Emilia Romagna. Da Bologna a Ferrara, da Rimini a Piacenza, fino a Reggio Emilia si diffonde un’opposizione ogni giorno più compatta e partecipata.
“Non si tratta solo di cittadine e cittadini che si oppongono a modelli di reclusione e segregazione che ricordano – come si evince dalle parole delle persone ospitate – quelli dei lager libici, ma di una protesta che coinvolge anche chi quotidianamente, con il proprio operato, si impegna per un’accoglienza degna, per città aperte e plurali” sottolineano Cgil Arci e Città Migrante.
I CPR sono strutture di detenzione amministrativa dove vengono richiusi i migranti per il solo fatto di non avere i documenti (dunque senza aver commesso reati), e oggi nei CPR possono essere rinchiusi anche i richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri se non forniscono subito una garanzia economica (pari ad almeno € 4938,00) e coloro i quali fanno domanda di asilo in fase di espulsione.
“E’ evidente che quella di considerare i migranti alla stregua di criminali è una scelta politica. Nei Centri di Permanenza per i Rimpatri si vivono quotidianamente fenomeni di sovrappopolazione, abusi fisici, limitazione alle comunicazioni con l’esterno, limiti all’assistenza legale. – scrivono in una nota Cgil Arci e Città Migrante – Lo scopo del trattenimento nei CPR dovrebbe essere quello di eseguire l’espulsione, cioè il rimpatrio forzato nel Paese di appartenenza, in realtà non funziona così: secondo i dati del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, infatti, nel 2022 sono state rimpatriate meno della metàdelle persone trattenute. Inoltre i CPR hanno un costo anche in termini economici:nel periodo 2018/2021 il costo complessivo per la gestione (privata) dei CPR è stato di 44 milioni di euro”.
Il Governo in carica ha istituito un Fondo di spesa per l’anno 2023 di 20milioni di euro per la realizzazione di un Piano straordinario di individuazione delle aree militari per la realizzazione di un numero idoneo di strutture detentive.
“La detenzione amministrativa, sulla quale si è concentrata più volte la scure razzista dei governi che puntano sulla costruzione del nemico e sul mantra securitario per acquisire consenso, è un buco nero della nostra democrazia, come più volte sottolineato anche dalle principali Istituzioni europee e dalle agenzie delle Nazioni Unite. I Cpr sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero dove finiscono persone senza documenti, non persone pericolose. Ci sono uomini e donne che sono stati badanti, muratori, cuochi in Italia con un regolare permesso di lavoro, poi hanno perso il posto e quel permesso non possono rinnovarlo. Ci sono uomini e donne che hanno chiesto asilo e non lo hanno avuto. Altri ancora hanno scontato una pena e aspettano il rimpatrio nel Cpr, che è un’altra condanna”.
“La presenza in Emilia Romagna di tali strutture va contrastata e la loro presenza va abolita su tutto il territorio nazionale, chi arriva nel nostro Paese lo fa perché fugge da situazioni di pericolo, povertà, degrado o perché perseguitato – concludono Luca Chierici, Cgil, Mirco Marmiroli, Arci e Federica Zambelli, Città Migrante – Pensiamo sia necessario investire affinché siano potenziati percorsi di inclusione nel tessuto sociale e lavorativo dei migrati, un modo per ridurre fenomeni di criminalità e fornire un contributo alla collettività. Per farlo occorre che le Istituzioni diano risposte rapide, favorendo percorsi di regolarità per chi arriva nei nostri territori”.
“Le leggi sull’immigrazione, che di fatto ostacolano percorsi di regolarità, hanno conseguenze nei territori che devono gestire situazioni di marginalità e di esclusione foriere di difficoltà per i migranti ma anche per gli abitanti delle città.
Oggi più che mai la politica non vuole programmare l’accoglienza intesa come risposta ad un fenomeno strutturale e per questo motivo si riduce ad affrontare gli arrivi sempre come se fosse un’emergenza, questa impostazione è superata dalla storia e va cambiata”.
Oggi si ricorda Ousmane Sylla, ragazzo di 22 anni originario della Guinea, morto suicida il 4 febbraio nel CP di Ponte Galeria ( Roma) . Questo il suo testamento scritto su un muro:
“Se un giorno dovessi morire, vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta (…)
I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro.
Mi manca molto la mia Africa e anche mia madre. Non c’è bisogno di piangere su di me, la pace sia con la mia anima e che io possa riposare in pace(..)”