Verità per Giulio Regeni

I “DENTI NEL CESTINO” DI GRIMILDE

di Paolo Bonacini, giornalista

Il 6 settembre 2018, poche settimane prima dalle due sentenze di Aemilia (Cassazione nel rito abbreviato e primo grado in quello ordinario) che avrebbero inflitto complessivamente 1200 anni di reclusione a 220 imputati nel più grande processo alla ‘ndrangheta d’Italia, alcuni membri della famiglia Grande Aracri, e gli uomini al loro servizio, continuavano a Brescello a mandare avanti le consuete attività come nulla fosse. Per “consuete attività” sono da intendersi, tra l’altro, la gestione diretta di società o beni immobili formalmente intestati a prestanome, e le minacce esplicite di azioni violente, utili a convincere anche i dubbiosi a fare ciò che la cosca voleva facessero.

Quel giovedì di settembre, mentre nell’aula bunker di Reggio Emilia i PM Mescolini e Ronchi replicavano alle difese nelle ultime battute del processo Aemilia, due imputati del rito ordinario di Grimilde, Francesco Paolo Passafaro e Matteo Pistis, partivano in auto alla volta di Nuvolento, piccolo comune del bresciano a una decina di chilometri dal lago di Garda. Andavano ad incontrare l’imprenditore Pierangelo Lombardi, anch’egli oggi imputato, che aveva chiesto aiuto a Salvatore Grande Aracri, il figlio di Francesco residente come il padre a Brescello. Lombardi voleva completare senza rinvii l’acquisto di un immobile a Padenghe, sulle rive del lago nei pressi di Desenzano. Il compito di Passafaro e Pistis era quello di accompagnarlo nell’ufficio dell’immobiliarista Francesco Terraroli, che operava per conto della società venditrice Lido Turchese srl, e convincerlo a chiudere in fretta l’affare.

Tre anni e mezzo dopo, lunedì 17 gennaio 2022, Terraroli entra nell’aula della Corte d’Assise di Reggio Emilia, chiamato dal pubblico ministero Beatrice Ronchi a spiegare cosa fecero quei due per “convincerlo”. Terraroli arriva in ritardo, perché aveva sbagliato città pensando che il processo fosse a Bologna, ma quando si siede e inizia a parlare la sua deposizione assomiglia tanto ad altre già udite nei processi alla ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Molti dettagli su elementi marginali; pochi invece, accompagnati spesso dalla frase “Non ricordo, è passato tanto tempo”, su quelli più utili a valutare la fondatezza dell’accusa rivolta ai quattro: minacce aggravate e in concorso, di stampo mafioso. L’imprenditore parla di sollecitazioni ricevute “in modo non convenzionale”, ma fatica ad andare oltre e deve intervenire spesso anche il giudice Silvia Guareschi, nel ruolo di presidente del collegio in sostituzione di Donatella Bove (quarantena da Covid) per aiutarlo a concentrarsi su cosa avvenne quel giorno. La storia emerge nei suoi dettagli solo quando Beatrice Ronchi contesta all’imprenditore le dichiarazioni da lui rese ai Carabinieri due settimane dopo l’incontro, e a quel punto Terraroli conferma che le cose erano andate effettivamente così. Così come?

Il primo a mostrarsi aggressivo nei suoi confronti era stato il compratore, Pierangelo Lombardi, che lo aveva offeso verbalmente dicendogli che gli avrebbe spaccato la faccia. “Mi ha sollecitato in modo pesante: attento che potrai avere dei problemi, fisici ed economici” ricorda finalmente in aula Terraroli. Poi erano intervenuti anche Passafaro e Pistis, che l’imprenditore non conosceva e non aveva mai visto. Si erano presentati dicendo: “Siamo calabresi”. Uno aveva picchiato con i pugni sulla scrivania dell’ufficio ed entrambi gli avevano urlato in faccia frasi del tipo: “Ti cambiamo i connotati. Ti spacchiamo la faccia e buttiamo i denti nel cestino se non firmi”. E lui, Francesco Terraroli, ha poi firmato.

Salvatore Grande Aracri è già stato condannato dal giudice Sandro Pecorella nel rito abbreviato di Bologna a 20 anni complessivi di reclusione per questo e altri capi di imputazione. Aveva preso in mano lui le redini della cosca a Brescello dopo che suo padre era stato condannato e incarcerato al termine del processo Edilpiovra. A lui si era rivolto Lombardi per ottenere quell’appartamento con le vie brevi. Era bastata una frase in codice: “Manda qualcuno. Qualche tuo amico che viene a mangiare con me…” e Salvatore aveva mandato sul posto i suoi uomini Passafaro e Pistis.

“Ho mandato due minchioni…” commentava in seguito lo stesso Salvatore con il compare Claudio Bologna, uomo di rilievo della cosca residente a Parma e condannato in abbreviato a 11 anni 8 mesi e 20 giorni “…sono due ragazzini… Immagini se ci andavamo io e te là!?”

E Bologna gli risponde divertito: “Sì, quello scappava!”

Ultima annotazione su questa vicenda: Salvatore Grande Aracri mette a disposizione di Lombardi la propria forza persuasiva e i suoi uomini per chiudere in fretta l’affare. Si era mosso persino l’avvocato Domenico Grande Aracri da Cutro, uno dei tanti fratelli di Nicolino, diffidando con una mail Terraroli dal tentare di aumentare il prezzo dell’immobile in vendita. Ma Salvatore non fa questo per amicizia o per altruismo. Lo spiega bene nelle motivazioni della sentenza del rito abbreviato di Grimilde il giudice Sandro Pecorella: “Per il signor Grande Aracri Salvatore la persona del signor Lombardi Pierangelo è vista, per quello che appare, come una specie di gallina dalle uova d’oro, al quale avrebbe anche arrecato danno con una truffa relativa alla vendita di un’autovettura nella quale il Lombardi veniva turlupinato, non ricevendo il prezzo pattuito dall’acquirente”. Lombardi si era rivolto a Salvatore Grande Aracri e a Claudio Bologna e così “subiva una seconda truffa” perché i due gli chiedevano ulteriore denaro per riscuotere il credito, mentre assieme al truffatore si erano già divisi i soldi dell’auto: 40mila euro a testa. Déjà vu in Aemilia.

Sempre nell’udienza del 17 gennaio è stato il maresciallo del nucleo investigativo dei carabinieri Cristian Gandolfi a testimoniare sulla capacità dei Grande Aracri di eludere e aggirare le misure patrimoniali di prevenzione per continuare ad utilizzare società e immobili interessati.

La Marmi Nusa è una delle imprese riconducibili a Francesco Grande Aracri e domiciliata come tutte le altre in via Breda Vignazzi a Brescello. Opera nella lavorazione del marmo ed è colpita da un decreto di sequestro preventivo nel luglio 2015. Circa un anno dopo carabinieri e ispettorato del lavoro effettuano un controllo presentandosi in sede dove trovano a lavorare Paolo Grande Aracri, figlio di Francesco e titolare di una neonata società, la Marmi Nord srl. Paolo giustifica la sua presenza sul posto dicendo che deve sistemare dei battiscopa di casa sua e che ha ricevuto le chiavi dall’amministratore dei beni confiscati. È il dott. Alberto Peroni, il quale però esclude di avere mai autorizzato Paolo Grande Aracri ad utilizzare le strutture e i materiali della vecchia società, neppure per eseguire lavori privati.

Altra storia: nel 2015 Francesco Grande Aracri non è più formalmente socio della Immobiliare Santa Maria srl, proprietaria di immobili e appartamenti a Suzzara e a Brescello. L’aveva comprata nel 2007 assieme al socio Tommaso Tambaro e rivenduta nel 2011, mentre scontava la misura restrittiva della libertà vigilata, ad una terza persona, Salvatore Faragò che ne era diventato amministratore unico. Nel 2015 l’immobiliare è sottoposta a sequestro di prevenzione assieme agli immobili di Suzzara ancora invenduti o di proprietà, e a portare le chiavi ai carabinieri sono Rosita Grande Aracri e Santina Pucci, rispettivamente figlia e moglie di Francesco Grande Aracri. Racconta il maresciallo Gandolfi in aula che andò lui in persona a Suzzara e a Brescello a controllare gli immobili e che sugli appartamenti ancora vuoti stava affisso un cartello con scritto “in vendita” e un numero telefonico da chiamare: il numero di Francesco Grande Aracri. Altrettanto eloquenti sono le dichiarazioni rese ai carabinieri da alcuni affittuari di Suzzara.

Franco: “Dal 2014 si presenta nella mia abitazione una ragazza di nome Rosita che mi avvisa di far pervenire a lei i pagamenti degli affitti…”.

Anna: “Circa il canone da pagare sono stata messa in contatto con il proprietario, tale Grande Aracri Francesco… L’affitto lo pagavo in contanti ogni mese a sua figlia, tale Rosita…”.

Vincenzo: “Come rappresentante della Immobiliare Santa Maria mi è stata presentata Rosita e inoltre sono stato informato del fatto che il padre della ragazza era uno dei soci”.

Tutto ciò in epoca in cui i Grande Aracri, con la Immobiliare Santa Maria srl, non c’entravano (almeno formalmente) più nulla.

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