di Paolo Bonacini, giornalista
In Corte d’Assise a Reggio Emilia, nel giorno in cui si rompe l’impianto di condizionamento dell’aria e resistere in aula è una prova di grande coraggio, il processo alla ‘ndrangheta di Brescello che prende il nome dall’inchiesta Grimilde arriva ad una svolta. Terminate le audizioni dei testimoni convocati dal PM Beatrice Ronchi per l’accusa, tocca ora a quelli della difesa. Con un intermezzo significativo, lunedì 18 luglio, rappresentato dalle dichiarazioni dei dirigenti sindacali le cui associazioni si sono costituite parte civile e da quelle, spontanee, rese in aula da uno dei principali imputati del processo: Francesco Grande Aracri. E’ il “grande” vecchio, non solo di cognome, della compagine di fratelli e sorelle del boss Nicolino sbarcati a Brescello in provincia di Reggio Emilia (lui a partire dal 1986), attualmente in carcere e già condannato nel processo Edilpiovra come uomo di mafia.
Partiamo da lui. “Se questa Corte mi deve condannare perché mi chiamo Grande Aracri, allora sono colpevole”. Sono le prime parole ad effetto della prima dichiarazione resa in aula da Francesco, che mai aveva parlato sino ad oggi, in collegamento video da carcere in cui si trova. Mai aveva parlato, aggiunge, “perché prima gli avvocati non mi hanno mai fatto parlare”. Forse lo hanno sconsigliato, temendo che potesse danneggiare sé stesso; e in effetti la tesi sostenuta nell’intervento potrebbe diventare un boomerang per il fratello di Nicolino. Tesi molto semplice. Non solo: “Io non appartengo alla ‘ndrangheta”, ma anche: “Io contro la ‘ndrangheta mi sono battuto”.
La prova, dice Francesco Grande Aracri, è la sua partecipazione alla manifestazione “Contro tutte le mafie” andata in scena nella piazza di Brescello nel 2014. Il titolo completo dell’iniziativa era “Con Coffrini: contro tutte le mafie”. Campeggiava sopra un camioncino pubblicitario portato nella piazza di Peppone e don Camillo, dove l’ex sindaco Marcello Coffrini il 29 settembre di quell’anno si era fatto un bagno di folla. Concittadini che gli esprimevano fiducia e solidarietà dopo le interviste raccolte e trasmesse dalla web tv di Cortocircuito, nelle quali si vedeva lo stesso Coffrini definire “gentilissimo, tranquillo, composto, educato…” proprio Francesco Grande Aracri. Di quella manifestazione di piazza, che resta un imbarazzante esempio di cedimento alla cultura del negazionismo in provincia di Reggio Emilia, per non dire peggio, si è parlato tanto e a lungo. Il Resto del Carlino il giorno dopo pubblicava un resoconto con interviste ai partecipanti, compresi i familiari di Francesco Grande Aracri: “Per noi sono giorni drammatici -confida uno dei figli, Salvatore- e il nostro pensiero va ora soprattutto ai nostri figli, ancora piccoli. Stiamo vivendo una situazione ingiusta e mio padre (Francesco) sta male per questo”.
A parlare, presente alla manifestazione assieme al padre, era Salvatore Grande Aracri, condannato a 20 anni in primo grado nel rito abbreviato di Grimilde, con pena ridotta a 14 anni e 4 mesi nella sentenza di appello di poche settimane fa.
Viste queste presenze, la manifestazione pro Coffrini è stata un boomerang, prima che per Francesco Grande Aracri, certamente per l’ex sindaco. Essa viene citata anche nella sentenza del TAR del Lazio che il 22 febbraio 2017 respinge il ricorso degli amministratori locali contro lo scioglimento del Consiglio Comunale di Brescello per infiltrazione mafiosa. Si legge in quella sentenza che “il Prefetto di Reggio Emilia ha dato atto della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti ed indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso”. In particolare si fa riferimento a “esternazioni pubbliche del primo cittadino in favore della cosca locale, seguite da una manifestazione pubblica di sostegno al sindaco, cui hanno partecipato esponenti della cosca e seguita da una raccolta di firme a sostegno del sindaco, molte delle quali appartenenti a soggetti vicini alla consorteria criminale”. In sostanza: il sindaco difende gli uomini accusati di appartenere alla mafia, i presunti mafiosi rispondono difendendo il sindaco. Citare la propria partecipazione a quella manifestazione del 2014 come esempio di impegno antimafia, potrebbe insomma non essere per Francesco Grande Aracri la più credibile delle strategie difensive.
La sua dichiarazione non si è conclusa con la seduta del 18 e proseguirà il 27 luglio, mentre sempre lunedì sono bastati pochi minuti a quattro dirigenti sindacali per riassumere le ragioni che hanno spinto le rispettive organizzazioni (CGIL e CISL Emilia Romagna, Camera del Lavoro di Reggio e di Piacenza) a costituirsi parti civili al processo.
Il primo a rispondere alle domande degli avvocati Andrea Gaddari e Gian Andrea Ronchi è stato Massimo Bussandri, attuale segretario generale della CGIL regionale, che ha citato tra i risultati dell’impegno sindacale a contrasto delle organizzazioni criminali il “Protocollo di legalità nelle zone colpite dal terremoto” del 2012. Protocollo firmato da enti pubblici e di controllo, associazioni imprenditoriali e sindacali, che istituiva le liste di merito nel settore dei lavori edilizi, punto di riferimento per le stazioni appaltanti nei lavori di ricostruzione. Ma anche il “Patto per il lavoro ed il clima” siglato in regione nel 2015 e rinnovato nel 2020 e la decisione di dare vita, sempre nel 2020, alla associazione LAW (Legalità e diritti al lavoro). È un osservatorio regionale di monitoraggio e studio della criminalità organizzata, finalizzato a diffondere le conoscenze e a tutelare i diritti sindacali e dei lavoratori. È composto da esperti e professionisti che aggiornano la banca dati dell’associazione sull’omonimo sito e pubblicano un rapporto annuale la cui prossima uscita è prevista a settembre.
Nel merito del danno che la diffusione della attività criminali delle organizzazioni mafiose produce alla tutela dei lavoratori, il segretario della CGIL ha citato l’annullamento dell’attività sindacale, l’impossibilità per i lavoratori di rivolgersi al sindacato, l’impedimento della rappresentanza diretta. Anche il danno economico è rilevante, perché l’80% delle entrate di una organizzazione come la CGIL è costituito dalle quote sottoscritte volontariamente dai lavoratori, e se a loro è impedito di rivolgersi al sindacato, crollano le risorse disponibili.
Gli fa eco Cristian Sesena, segretario della Camera del Lavoro di Reggio Emilia, citando il caso concreto proprio di Brescello, dove l’infiltrazione mafiosa nelle imprese, i lavoratori intimoriti, l’impossibilità di organizzare momenti di incontro e confronto, in spregio dei diritti sindacali tutelati dalla Costituzione, ha prodotto nel tempo un crollo degli iscritti.
Dello stesso tenore anche le deposizioni di Gianluca Zilocchi, già segretario della CGIL di Piacenza da poco entrato nella segreteria regionale, e di Filippo Pieri, segretario regionale della CISL. Lavoro nero, sfruttamento, ritardi nei pagamenti delle retribuzioni, caporalato, false certificazioni: violazioni delle norme e negazione dei diritti incontrati nello svolgimento del lore mestiere in tutta la regione. Pericolosi campanelli d’allarme sulla capacità delle organizzazioni criminali, in particolare quelle mafiose, di alterare il mercato e di realizzare profitti sempre sulla pelle dei cittadini e dei lavoratori.
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