Verità per Giulio Regeni

[VIDEO E INFO] 1921-2021: A CENT’ANNI DALLA VIOLENZA SQUADRISTA A REGGIO EMILIA

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8 APRILE 1921 – INCENDIO ALLA CAMERA DEL LAVORO DI REGGIO EMILIA IN VIA FARINI DA PARTE DEI FASCISTI 

Arrivati davanti al portone di Palazzo Ancini, ove ha sede la Camera del Lavoro, videro l’ingresso aperto. Saliti agli uffici i fascisti trovarono, a quanto si dice, opposizione al loro ingresso per parte di alcuni impiegati; ne nacquero colluttazioni lungo le scale con qualche colpo di bastone. I fascisti ben presto rimasero padroni dei locali. Allora penetrati negli uffici cominciò una irresistibile devastazione di mobili e registri, in gran parte gettati dalle varie finestre in via Farini, in via Serra e nel cortile interno. Dai cumuli poco dopo si innalzarono le fiamme, alimentate dai mobili stessi e dalle carte sconvolte. Le fiamme si innalzarono altissime, fin verso i tetti. Un altro incendio si sviluppava contemporaneamente nel negozio della stampa socialista, dove i fascisti erano entrati sfondando la porta.

(I gravissimi avvenimenti di ieri sera, “Il Giornale di Reggio”, 9 aprile 1921)

Palazzo Ancini, 1920 sede della Camera del Lavoro(Fototeca Panizzi, foto di R. Sevardi)
Palazzo Ancini, 2021 (Foto Istoreco, Andrea Mainardi)

La proposta di costituire a Reggio Emilia una Camera del Lavoro fu avanzata nel corso di un congresso operaio tenutosi il 24 maggio 1901 per iniziativa della Federazione delle Cooperative di Lavoro e al quale parteciparono 77 associazioni: 22 cooperative di lavoro, 21 cooperative di consumo, 24 società di mutuo soccorso, 10 leghe di resistenza. Il congresso approvò con 70 voti favorevoli l’istituzione della Camera e deliberò inoltre di affidare ad una Commissione la compilazione di uno statuto. Il 7 luglio dello stesso anno, in un nuovo congresso provinciale, lo schema di statuto fu presentato e approvato, con poche modifiche, dai delegati di 70 associazioni. In base allo statuto la Camera aveva giurisdizione su tutta la provincia, sede nel capoluogo e comprendeva tutte le società di lavoratori che ad essa avessero dato formale adesione.

L’indirizzo e le linee di azione della Camera venivano discusse e deliberate dal Congresso, formato dai rappresentanti di tutte le società iscritte alla CdL, e veniva convocato di norma ogni anno. L’organizzazione della CdL venne divisa in tre rami (resistenza, cooperazione, previdenza), il primo dei quali risultava ulteriormente suddiviso in lavoratori della terra, che avevano una propria autonoma federazione provinciale, e operai dell’industria, organizzati in leghe provinciali, comunali e frazionali. Inoltre nel tempo si costituirono succursali o uffici della CdL anche in diversi Comuni della provincia, in particolare a Guastalla con attività particolarmente rivolta all’emigrazione e alla tutela delle mondariso.
La Camera del Lavoro costituiva il punto di riferimento ed il luogo simbolico dell’intero progetto riformista in terra reggiana, come centro di organizzazione politica e sindacale, come istituzione fondamentale operante sul territorio accanto al Municipio, alla Prefettura e alla Chiesa, ed infine come centro di compensazione e di mediazione tra istanze diverse e talvolta persino contrastanti.

Il primo segretario della Camera del Lavoro (1901) fu Antonio Vergnanini, da poco rientrato dalla Svizzera dove si era rifugiato nel 1895 durante la violenta repressione del Governo Crispi contro i socialisti. Vergnanini diresse l’organizzazione fino al 1912, quando divenne segretario nazionale della Lega delle Cooperative e Mutue.

Segretariato centrale della Camera del Lavoro, 1910. Da: “Uniti siamo tutto, alle origini della Camera del Lavoro di Reggio Emilia”, Litograf, 2001, p.84

Insediatasi a Palazzo Ancini, in via Luigi Carlo Farini, l’edificio ospitava anche la Federazione delle Cooperative di consumo (1902) e il Consorzio Cooperative di consumo (1904), oltre che la sede delle varie Cooperative e Leghe contadine e operaie. Al piano terra gli uffici e il negozio della Cooperativa stampa socialista.

Già nei primi anni del secolo la Camera del Lavoro era presente in 35 comuni su 45 e in oltre 200 frazioni della provincia.
Nel 1917, per diminuire la disoccupazione femminile, la Camera del Lavoro aveva istituito dei laboratori per la confezione di indumenti militari, i cui utili venivano devoluti in beneficenza (al Comitato per i Servizi Civili, alla Croce verde, alla Croce Rossa, alle Colonie scolastiche, alla Lega Mutilati di guerra, al Patronato scolastico, all’Istituto ciechi). Il laboratorio più grande, in cui lavoravano alcune centinaia di donne della città e dei comuni vicini, era situato in via Farini sotto la sede della Camera del Lavoro.

Palazzo Ancini era stato assaltato una prima volta pochi giorni dopo la conclusione della guerra: nel novembre 1918 alcuni arditi avevano esposto a forza dal suo balcone una bandiera tricolore in occasione del ritorno a Reggio dei militari già di stanza nella nostra città.


8 APRILE 1921 – INCENDIO DELLA SEDE DEL GIORNALE LA GIUSTIZIA IN VIA GAZZATA

“I fascisti salirono rapidamente e si trovarono di fronte all’on. Prampolini. Il deputato-che era stato lasciato completamente solo per la fuga di tutti i suoi “compagni” non appena si trovò di fronte ai fascisti, cercò di invocare, in preda a viva emozione, alla calma, tanto più per la vicinanza di un istituto nel quale sono raccolti dei ragazzi. Dato lo stato di eccitazione degli animi non era però possibile essere, se non molto relativamente, ascoltati: i fascisti però con manifestazione e deferenza personale verso l’on. Prampolini, lo invitarono ad uscire, impegnandosi a condurlo fino alla propria abitazione. Ciò che effettivamente fu fatto mentre Prampolini insisteva ad affermare che sconfessava nell’assassinio del treno il carattere di socialista. In quella vari fascisti entravano senz’altro dell’ufficio occupato dall’on. Zibordi, il quale non c’era. L’ufficio fu devastato ed alle carte fu dato fuoco. Le fiamme si comunicarono rapidamente anche agli uffici laterali e il fuoco minacciava altresì a propagarsi a tutto il fabbricato e anche al pianterreno ove ha sede la tipografia, ma si annunciò l’arrivo dei carabinieri e delle guardie che giungevano trafelati seguiti a breve distanza dai pompieri con le macchine di spegnimento e gli attrezzi.

(I gravissimi avvenimenti di ieri sera, “Il Giornale di Reggio, 9 aprile 1921)

“Hanno annientato il giornale delle nostre idealità nella vana illusione di soffocare per sempre la voce libera e schietta che guidò per anni ed anni a tante battaglie e a tante vittorie. Vano sogno torbido e triste. Il nostro giornale e le nostre istituzioni vegliano sempre e dalle ceneri del rogo che vorrebbe annientarle risorgeranno più forti e più salde”

(Dinanzi al rogo, “La Giustizia”), 10 aprile 1921)

EX SEDE DEL QUOTIDIANO LA GIUSTIZIA, 1944. FOTOTECA ISTORECO
PIAZZETTA PIGNEDOLI/VIA GAZZATA, 2021.FOTOTECA ISTORECO, FOTO ANDREA MAINARDI

“La Giustizia” settimanale nacque nel 1886 per volontà di Camillo Prampolini, la versione quotidiana il 1 gennaio 1904 con la direzione di Giovanni Zibordi (1870-1943) per i tipi della Cooperativa Lavoranti tipografi. La prima sede fu in via Farini presso la Camera del Lavoro poi, il 5 agosto redazione e amministrazione si trasferirono sopra il laboratorio della Coop. Tipografi in via Gazzata, nei locali attigui alla sede dell’Orfanotrofio Maschile (oggi Liceo Classico “L.Ariosto”). A poca distanza, all’interno dell’ex Convento di S.Ilario, nel 1902 era stata aperta l’Università popolare voluta da Antonio Vergnanini, poi confluita nel 1908 nella Biblioteca Popolare (promossa dal Comune e dalla Camera del Lavoro).

“La Giustizia” fu il luogo principale di dibattito e promozione del riformismo locale e nazionale, su di essa scrissero, oltre che Camillo Prampolini, tutti i principali quadri dirigenti socialisti dell’epoca: Antonio Vergnanini, Amilcare Storchi, Luigi Roversi, Nico Gasparini, Adelmo Sichel, Arturo Belelli, oltre che amministratori pubblici, parlamentari, dirigenti sindacali e cooperatori.

Come ha sottolineato Degli Innocenti:

Il giornale… poneva al centro del proprio interesse la ricerca di un rapporto con la massa dei lavoratori, una massa però cosciente, protagonista della propria emancipazione, organizzata, istruita e democraticamente operante. La visione gradualista e progressiva della storia contribuiva a rendere Prampolini tanto attento e sollecito verso i mutamenti sociali e i processi di emancipazione, quanto ostile ai moti inconsulti di piazza e alla violenza sovversiva di gruppi e avanguardie più o meno organizzate.

Dopo la devastazione del 8 aprile Zibordi, messo al bando dai fascisti reggiani, dovette lasciare la città e la direzione del giornale fu assunta da Amilcare Storchi. Nel luglio 1922 “La Giustizia” (quotidiano) si trasferì da Reggio a Milano, interrompendo le pubblicazioni il 5 novembre 1925 dopo le violenze seguite all’attentato a Mussolini nello stesso giorno.

Fu soppressa gran parte della stampa socialista, compresa “La Giustizia” domenicale di Prampolini (che, dopo l’assalto fascista, si era trasferita in via De Amicis dove aveva trovato sede anche la Federazione del Partito Socialista).

Cessò le sue pubblicazioni quando, per lo scioglimento del Partito socialista con decreto del 5 novembre 1925, furono apposti i sigilli ai locali. Prampolini nel maggio 1926 si trasferiva insieme alla sorella e alla figlia a Milano, dove morirà il 30 luglio 1930.

Interno della redazione de “La Giustizia” con Camillo Prampolini, 1910. Fototeca Biblioteca Panizzi

8 APRILE 1921 – DEVASTAZIONE DEL LOCALE DEL CLUB SOCIALISTA – VIA SAN ROCCO /VIA MONZERMONE 

La giornata dell’8 aprile 1921 fu decisiva per la presa del potere da parte del fascismo a Reggio Emilia e per la sconfitta dei suoi avversari, in particolare socialisti e comunisti, aiutata da un lato dall’attacco violento alle sedi socialiste in città dall’altro dall’iniziativa politica. In vista delle elezioni infatti, con la riunione organizzativa dei “socialisti riformisti” che, secondo “Il Giornale di Reggio”, avrebbero dovuto deliberare con i liberali l’adesione al Blocco nazionale, per inaugurare l’unione di tutte le forze antibolsceviche. Come fiduciari reggiani erano stati indicati l’avvocato Alberto Borciani e il professor Pietro Petrazzani. Borciani era stato il primo sindaco socialista di Reggio Emilia, eletto nel 1899, ma in quei giorni andava maturando una decisa conversione politica in appoggio ai Blocchi nazionali delle destre, imitando l’esempio dell’avv. Adelmo Borettini (futuro Podestà) transfugò proprio in quei giorni verso le fila fasciste.

Le rappresaglie e le aggressioni contro le sedi socialiste iniziarono nel tardo pomeriggio, dopo che verso le ore 18 il fascista Pier Luigi Davolio era stato ferito gravemente in una sparatoria alla stazione ferroviaria di Santo Stefano. Appena appresa la notizia gli squadristi lasciarono la loro sede in via del Seminario (attuale via Don Andreoli) e si diressero verso la sede della Camera del Lavoro in via Farini e poi alla sede de “La Giustizia”, presso l’orfanotrofio di via Gazzata (attuale palestra del liceo Ariosto), devastandole e appiccando incendi, per poi fuggire all’arrivo delle forze dell’ordine.

Isolato San Rocco e portici della Trinità. All’interno del complesso aveva la sede il Club Socialista. Manifestazione del 1 maggio 1917. Fototeca Biblioteca Panizzi
Isolato San Rocco, 2021. Fototeca Istoreco, foto Andrea Mainardi

L’azione, che non trovò particolare resistenza da parte delle forze dell’ordine, si concluse con un altro atto di rappresaglia, come venne esplicitamente definito dal quotidiano “Il Giornale di Reggio”, questa volta contro il Club socialista situato lungo Via Monzermone, fra piazza della vittoria e via San Rocco.

Il Club socialista era fornito di una biblioteca con sala di lettura e tutte le sere vi si poteva giocare al biliardo e a carte. Spesso in un ampio salone si tenevano concerti rinfreschi e i veglioni, serate danzanti il cui ricavato veniva devoluto al partito.

Uno degli ingresso del Club, che dava sulla piazza della vittoria, chiuso da una grossa saracinesca, resistette ad un primo assalto dei fascisti, giunti in gran numero da piazza Battisti.

Un secondo tentativo fu allora compiuto contro l’ingresso di via San Rocco le cui porte cedettero alla violenza dell’attacco. Un altro gruppo di fascisti riuscì a forzare un terzo portone su via Monzermone. Una volta penetrati all’interno iniziò la devastazione degli arredi e di ogni altra cosa fosse presente.

Come riferì “Il Giornale di Reggio”: “La grande scansia che dominava la parete di fronte all’ingresso tutta, zeppa di liquori finissimi e prelibati, è stata divelta dai sostegni del muro e lasciata precipitare a terra… Le sedie, le specchiere, i tavoli sono stati ridotti in frantumi; anche una grossa stufa tipo Americana venne spostata, danneggiata e rovesciata nel mezzo della sala. La vasta invetriata di copertura non è andata esente da danni: anch’essa ebbe alcuni del lunghi lastroni rotti, alcuni vasi che si trovavano sul terrazzo esterno vennero precipitati nel mezzo del salone infranti in mille pezzi”.

Nella tarda serata gli operai delle Officine Reggiane proclamarono uno sciopero, poi non attuato, per protestare contro le azioni fasciste.

Un altro episodio di violenza squadrista avvenne la mattina seguente, il 9 aprile 1921, nella città apparentemente tranquilla: i fascisti si radunarono in via Emilia, presso la sede dell’Istituto di credito cooperativo,  per imporre con la forza l’esposizione del tricolore, ma vennero accolti malamente dalla figlia del direttore, Malvina Bedogni Magri, “nota conferenziera e propagandista anarchica” che, secondo “Il Giornale di Reggio” non solo si sarebbe rifiutata di seguire la minacciosa richiesta ma avrebbe  anche insultato il gruppo riunito sotto le finestre della stessa banca.

Nelle stesse ore un altro gruppo di squadristi si faceva consegnare dalla Biblioteca Popolare la collezione del periodico anarchico “Umanità Nova” dandola alle fiamme in Piazza Cesare Battisti.

Bruciare giornali e libri: una tipica azione fascista.

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