Verità per Giulio Regeni

REGGIO EMILIA BRUCIA?

L’ultimo incendio di un’auto è di questa notte, 9 novembre 2021. Una BMW serie 5 va a fuoco in via Filippo RE, in pieno centro di Reggio Emilia, e le fiamme si propagano ad altri mezzi. I vigili del fuoco fanno il loro lavoro e la polizia indaga.

di Paolo Bonacini, giornalista

L’ultimo incendio di un’auto è di questa notte, 9 novembre 2021. Una BMW serie 5 va a fuoco in via Filippo RE, in pieno centro di Reggio Emilia, e le fiamme si propagano ad altri mezzi. I vigili del fuoco fanno il loro lavoro e la polizia indaga. Come a Fabbrico il 3 novembre scorso, quando è esploso un furgone Mercedes Sprinter di proprietà di una azienda i cui titolari sono di origine calabrese. Come in via Mafalda di Savoia a nord della città il 31 ottobre, quando ha preso fuoco la Ford Focus di un veneziano residente a Reggio. Nel caso di Fabbrico l’esplosione è stata improvvisa, con gli abitanti della zona che hanno avvertito, dopo il botto, lo stridio delle gomme di un’auto che si allontanava a forte velocità. Sempre di notte, sempre con un interrogativo sospeso nell’aria sulle cause scatenanti.

Sono almeno duecento gli incendi degni di nota negli ultimi tre anni, in provincia di Reggio Emilia, equamente divisi tra veicoli, abitazioni ed aziende. Una ventina sono sicuramente dolosi, trenta certamente accidentali, ma in mezzo c’è il purgatorio delle fiamme che bruciano decine di auto e furgoni nei parcheggi di notte, aziende ed attività agricole anche quando piove, con bombe molotov ritrovate sul luogo dell’incendio, tetti di case ancora in costruzione dove non esistono canne fumarie che vanno a fuoco. E poi officine meccaniche, concessionarie automobilistiche, imprese industriali. Con danni per milioni di euro e cause che rimangono spesso confinate nel regno delle ipotesi. Autocombustione, cortocircuito, difetto della stufa, eccesso di zuccheri nel primo fieno delle migliaia e migliaia di rotoballe andate in fumo, spesso non d’estate e quando la temperatura è sotto i 15 gradi. Ipotesi plausibili, raccolte dai cronisti sui luoghi degli incendi, ma non sufficienti a sciogliere i dubbi sui possibili moventi della ritorsione o della intimidazione.

Il quadro complessivo relativo agli ultimi tre anni, dalla sentenza del processo Aemilia ad oggi, l’abbiamo ricostruito con le notizie di stampa che pescano gli eventi più significativi tra le migliaia di interventi effettuati ogni anno dai vigili del fuoco. Con dati in aumento del 14% nel 2019 e del 7% anche nel 2020, nonostante il lockdown. Non è un periodo scelto a caso perché proprio il processo alla ‘ndrangheta emiliana aveva evidenziato quanto il “linguaggio degli incendi” fosse un tratto caratteristico della cosca. Per il “significato immediatamente percepito dagli interessati, che trascende la rilevanza in sé dell’episodio”, diceva il giudice Alberto Ziroldi già nel 2015, con l’ordinanza che disponeva gli arresti per oltre cento persone. Ancora più esplicito il Pubblico Ministero Marco Mescolini che di fronte alla miriade di incendi rimasti senza spiegazione scriveva: “La mancanza di autori identificati costituisce un limite a fronte del quale risulta tuttavia assai più importante comprendere il messaggio che viene mandato e recepito. Dobbiamo comprendere il linguaggio degli incendi, nei quali si concentra una delle forme più micidiali in cui si esprime e si rafforza la capacità di intimidazione della associazione”.

Uno degli episodi tra i più clamorosi trattati in Aemilia è quello dell’incendio alla sede della Bonifazio Trasporti srl di Reggiolo (RE), dove nel novembre 2012 vanno in fumo nove autotreni con un rogo doloso che “non ha precedenti in Italia” dicono gli atti. Oggi sappiamo che alla base c’era una vicenda estorsiva legata ad un debito di 100mila euro che coinvolse pezzi da novanta della cosca emiliana: Nicolino Sarcone, Giuseppe Giglio, Antonio Silipo. Fu un fatto eclatante, ma dopo la fine del processo di fatti altrettanto eclatanti che coinvolgono imprese del territorio ne sono accaduti molti. Nei trenta roghi, dieci all’anno di media, che hanno colpito da allora ad oggi attività industriali, spiccano il violento incendio alla concessionaria Auto Zatti di Brescello il 6 maggio 2019, con una quarantina di auto distrutte, il tetto crollato, sei persone intossicate e un vigile del fuoco ferito gravemente. Il 6 agosto 2020 tocca alla concessionaria Citroen di Pieve Modolena, alla periferia di Reggio, dove alle 4 di notte bruciano alcune auto in vendita nel parcheggio e solo grazie all’allarme lanciato da una guardia giurata si riesce a salvare le altre 200 parcheggiate sotto un tendone. Il 24 ottobre 2020 i vigili del fuoco corrono con sette squadre a domare le fiamme di un imponente incendio che divampa nel capannone di 1500 metri quadri dell’azienda Agriservice, nella zona annonaria a nord di Reggio Emilia. Vanno distrutti macchine agricole, attrezzature e mezzi per il giardinaggio, pezzi di ricambio e arredi schiacciati dal tetto che collassa. Si parla di fiamme scaturite da un barile di olio esausto e i giornali definiscono “giganteschi” i danni. Il 17 gennaio 2021 divampano col buio le fiamme al principale deposito dell’azienda pubblica di trasporti Seta, vicino al Campovolo di Reggio Emilia. Sono coinvolti 22 autobus di cui 13 finiscono completamente distrutti, con un danno di tre milioni di euro. Si ipotizza il surriscaldamento alla base di un cortocircuito.

Il possibile cortocircuito che genera scintille da cui partono le fiamme è anche la spiegazione più inflazionata, quando non sono chiare le cause, a cui ci si aggrappa per i tanti incendi di auto, furgoni e motorini, nei parcheggi e nei garage della provincia. Le cronache reggiane ne documentano 62 tra l’ottobre 2018 e lo stesso mese del 2021. Tra i pochi casi segnalati alla direzione distrettuale antimafia di Bologna, c’è quello della Mercedes Glc dell’avvocato Pasquale Muto, bruciata a Reggiolo (RE) il 7 agosto di quest’anno a notte fonda, nel cortile davanti al residence in cui vive il legale. Pasquale Muto nel processo Aemilia è difensore di Giuseppe Iaquinta, l’imprenditore condannato a 13 anni in Appello, che ha già annunciato ricorso in Cassazione. Dopo l’incendio dell’auto l’avv. Muto, riportano i giornali, si è dichiarato “tranquillo” e ha escluso nel modo più categorico che l’incendio della sua auto sia collegabile a qualche atto criminale.

Perché e come brucino le auto ferme nei parcheggi è un mistero tutto emiliano-lombardo che risuona in Aemilia e nel collegato processo Pesci sulla cosca di origine cutrese insediata nel mantovano. Sulla riva sinistra del Po è un Vigile del Fuoco intervenuto nell’ennesimo incendio per “autocombustione” di un’auto sospetta che domanda ironicamente ad una giornalista: ““Secondo te, le case automobilistiche sono in debacle totale che costruiscono auto che bruciano? Le fabbricano farlocche?”. Sulla riva destra invece il caso più da letteratura è l’incendio di una BMW serie 7. È l’auto di Michele Colacino, uomo di fiducia del boss Romolo Villirillo caduto in disgrazia e messo al bando dai Grande Aracri. Dell’incendio, avvenuto a Reggio Emilia nel 2011, sono accusati Alfredo Amato e Gabriele Valerioti, inchiodati dai Carabinieri sul luogo in cui la macchina era andata a fuoco grazie alle intercettazioni telefoniche. I due però si difendono con grande maestria criminale, sostenendo che si trovavano nel parcheggio in cui l’auto bruciava per pura coincidenza. Il loro vero obbiettivo era rubare la cassaforte del supermercato che si trova nelle vicinanze.

Il processo Aemilia ci spiega anche come si può bruciare un’auto senza lasciare alcuna traccia del dolo, e il metodo raccontato dal collaboratore di giustizia Antonio Valerio torna d’attualità negli incendi dell’ultimo triennio che riguardano le aziende agricole e i depositi di rotoballe. Ne parleremo, assieme ai tetti delle tante case andati a fuoco, nella prossima puntata.

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