Verità per Giulio Regeni

QUATTRO ERGASTOLI IN CORTE D’ASSISE

di Paolo Bonacini, giornalista

Quattro ergastoli per Nicolino Grande Aracri, Antonio Ciampà, Antonio Le Rose e Angelo Greco. Ritenuti dalla Corte d’Assise d’Appello di Bologna di essere mandanti od esecutori degli omicidi di mafia commessi a Reggio Emilia nel settembre e nell’ottobre del 1992. Morirono  Nicola Vasapollo e Giuseppe Ruggiero, uccisi con pistole semiautomatiche 9×21, 7,65 e calibro 38 special, nelle rispettive abitazioni alla periferia della città e nel comune di Brescello in riva al Po. Vittime di una guerra di ‘ndrangheta per il controllo del territorio al nord che causò decine di vittime in diverse regioni d’Italia. A poco più di un anno dal pronunciamento di primo grado, che aveva mandato assolti tre imputati su quattro in Corte d’Assise a Reggio Emilia, arriva a Bologna il ribaltamento della sentenza. E’ il presidente della Corte Orazio Pescatore a leggere il dispositivo in aula alle 14,40 del 30 settembre, affiancato dai giudici popolari e dall’altro giudice togato Milena Zavatti.
Pochi minuti, al termine dei quali si abbracciano Lucia Musti e Beatrice Ronchi, i PM che hanno sostenuto in aula le ragioni d’accusa della Procura Generale. “Questa sentenza contribuisce a ricostruire la verità su di un periodo drammatico che segnò col sangue i conflitti tra le famiglie di ‘ndrangheta in Emilia Romagna e in Lombardia” commenta il sostituto procuratore generale Lucia Musti. “Ci abbiamo creduto fino in fondo” le fa eco Beatrice Ronchi, il sostituto procuratore antimafia che ha messo la sua firma in fondo alle 178 pagine dell’impugnazione depositata in Corte d’Appello nel marzo scorso. Entrambe protagoniste della lunga stagione di contrasto alla ‘ndrangheta emiliana iniziata col il maxi processo Aemilia e proseguita con Grimilde.
Nel 1992 ancora non si era dispiegata in tutta la sua capacità di penetrazione la mafia economica raccontata da questi grandi processi: una ‘ndrangheta moderna, capace di fare accordi con imprenditori, uomini delle forze dell’Ordine e dello Stato; capace di avere a libro paga commercialisti e giornalisti. Allora erano ancora le attività classiche dell’usura, dell’estorsione e del commercio di droga a generare appetiti e a istigare le famiglie criminali del sud nella ricerca di una leadership che si poteva affermare solamente attraverso la violenza.
Vasapollo e Ruggiero, cutresi di 33 e 35 anni, erano gli astri nascenti a Reggio Emilia delle due famiglie di ‘ndrangheta che avevano architettato di prendere il sopravvento spendendo decine di milioni di lire per armarsi e assoldando il killer per antonomasia Paolo Bellini, ora a processo anche per la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Ma contro avevano le famiglie storiche unite dei Dragone, Arena, Ciampà, Grande Aracri, che architettarono omicidi eclatanti per lanciare un messaggio di ‘ndrangheta inequivocabile. Per questo Ruggiero venne ucciso da un commando di finti carabinieri arrivati a Brescello di notte, a bordo di una finta auto dell’Arma con targa vera rubata a Cutro e lampeggiante azzurro acceso.
La Corte d’Assise di primo grado aveva condannato all’ergastolo solo Nicolino Grande Aracri e per il solo omicidio di Nicola Vasapollo, evidenziando “macroscopiche divergenze” nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, Antonio Valerio e Angelo Salvatore Cortese, che avevano ricostruito in aula con dovizia di dettagli la pianificazione e l’esecuzione dei due omicidi. Per contro la Procura Generale, nello smontare quella sentenza, parlava di “omessa valutazione di prove decisive”, di cui si doveva tenuto conto per giungere ad una sentenza di condanna.
Sentenza che aggiunge oggi quattro ergastoli alle due condanne già stabilite nell’appello del rito abbreviato. Sono quelle di Antonio Valerio, il collaboratore che si è autoaccusato di aver partecipato alla spedizione punitiva contro Ruggiero, e di Nicolino Sarcone, uno dei più autorevoli capi della consorteria emiliana messa sotto scacco dall’indagine Aemilia e dal successivo processo.
Ora si attendono le motivazioni della sentenza e il presumibile ricorso in Cassazione delle difese.

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