Verità per Giulio Regeni

LA PATRIA DEI KANONIERI K’URDI

Può succedere, com’è successo, che Reggio Emilia diventi terra di conquista per la mafia. Può succedere che la nostra città emiliana finisca, come ha detto Antonio Valerio in Tribunale verso la fine del processo Aemilia: “Sotto uno stato di assedio ‘ndranghetista che non ha uguali”.

di Paolo Bonacini, giornalista

Può succedere, com’è successo, che Reggio Emilia diventi terra di conquista per la mafia. Può succedere che la nostra città emiliana finisca, come ha detto Antonio Valerio in Tribunale verso la fine del processo Aemilia: “Sotto uno stato di assedio ‘ndranghetista che non ha uguali”. Può succedere addirittura che nella Città del Tricolore sia insediato il cuore di una organizzazione criminale specializzata nella falsa fatturazione per frodare il fisco, espansa in tutta Italia, che per numero di indagati, 201, assomiglia ad Aemilia. L’inchiesta Billions del 2020 sta lì a testimoniarlo.

Ma che Reggio Emilia, medaglia d’oro al valor militare per aver saputo eroicamente resistere ai nazisti, fosse diventata al tempo degli archi di Calatrava, cioè oggi, il centro nevralgico di una associazione a delinquere denominata con l’ossimoro “Ladri di legge”, o se preferite “Kanonieri K’urdi” nella lingua originale; composta da professionisti georgiani e ucraini specializzati nel campo dei furti in appartamento e nel riciclaggio della merce rubata; guidata da capi chiamati “Ladroni”, tatuati di stelle a otto punte e altre esotiche rappresentazioni evocative del loro grado criminale, provenienti dall’Est dove avevano la forza per sfidare le ferree leggi del disciolto impero sovietico; che a Reggio Emilia fosse insediato, quindi, il cuore operativo di questa setta internazionale di malfattori, le cui attività spaziavano dalla Francia alla Grecia, dalla Slovenia all’Ungheria e alla Spagna, proprio non ce l’aspettavamo.

Come non era immaginabile che fossero tanto affezionati alla nostra città, questi signori, da commentare al telefono, mentre erano intercettati: “Reggio Emilia è la nostra patria”.

Eppure è la realtà. E se pare difficile da credere, sappiate che lo hanno detto in conferenza stampa, la mattina del 9 febbraio 2021, il Questore di Reggio Emilia Giuseppe Ferrari, il comandante della Squadra Mobile Guglielmo Battisti, il dirigente del Servizio Centrale Operativo nazionale della Polizia Marco Martino. E con loro il Procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini il cui ufficio ha coordinato le indagini. L’ordinanza che stabilisce 62 misure cautelari, di cui 58 in carcere, contiene 115 capi di imputazione ed è lunga 800 pagine. L’ha firmata il giudice reggiano Andrea Rat, già membro del collegio che ha emesso la sentenza di primo grado in Aemilia. 55 dei 62 fermati in Italia sono georgiani e altri 36 indagati sono stati raggiunti all’estero da un mandato di arresto europeo.

Roba da fantascienza.

I fatti contestati a questi Kanonieri K’urdi vanno indietro negli anni e le indagini sono iniziate nel 2015. Nel febbraio del 2020 il prefetto di Reggio Maria Forte riferiva alla Commissione Parlamentare Antimafia della presenza organizzata e non estemporanea a Reggio Emilia, già dal 2008, di criminali georgiani organizzati, identificati con le stesse metodologie operative anche a Catanzaro, Roma e Torino. Sono state le capacità operative della Polizia reggiana, con il comandante della Mobile Battisti, e la visione d’insieme della Procura di Mescolini, a consentire di delineare il quadro complessivo d’azione di questa organizzazione. Vedere il disegno unitario di una grande squadra, dietro ai tanti furti segnalati e commessi, era il difficile. Al pari del disegno unitario della ‘ndrangheta dietro agli incendi delle auto e dei tetti che in anni passati venivano trattati come singoli fascicoli di singole azioni intimidatorie. Quell’esperienza di smantellamento della cosca cutrese il Procuratore di Reggio e il comandante della Mobile l’hanno vissuta assieme negli anni passati e assieme ora l’hanno messa a frutto contro i georgiani.

Il metodo di lavoro dei “Ladri di Legge” prevedeva una sorta di firma delle modalità operative criminali. Le porte degli appartamenti da svuotare, si vede in immagini registrate, venivano visitate con cura in rapide azioni preventive per capire la tipologia delle serrature e dei sistemi di sicurezza. I furti avvenivano poi senza evidenti segni di scasso sugli ingressi e sulle casseforti; di norma senza segni visibili nelle stanze. Tanto che una vittima, alla quale Battisti racconta di avere riconsegnato gioielli di valore recuperati, neppure si era accorta che li avevano rubati.

Non erano però ladri gentili questi georgiani; la loro capacità di violenza era alta. Nel 2012, sorpresi in una abitazione mentre compivano un furto, riuscirono ad aggredire gli agenti di una Volante e a strappare loro una pistola. La puntarono contro i poliziotti per sparare, ma per fortuna era inserita la sicura. Cinque anni dopo storia quasi analoga nell’incontro tra una pattuglia e un altro ladro georgiano.

Il gruppo si è evoluto nel tempo. Prima vi entravano solo uomini senza famiglia, per limitare i rischi e le possibili fughe di notizie. Ora la presenza di un nucleo stabile, di moglie e figli, è ammessa e aiuta a dare meno nell’occhio. Si tratta però di una organizzazione chiusa, e questo è forse il suo unico lato positivo. Nel senso che nulla ha a che vedere con la forte presenza di lavoratori e lavoratrici georgiani, in particolare badanti, che a Reggio Emilia hanno trovato una nuova vita, fornendo un decisivo contributo, ha sottolineato Mescolini, ai bisogni assistenziali di questa provincia. I criminali arrivati dal paese in bilico tra il mar Nero e il mar Caspio sono un’altra cosa. Impermeabili agli onesti.

A Reggio Emilia le attività investigative hanno documentato una riunione con molti membri, guidata da uno dei capi chiamati “Ladroni”, al quale convenuti provenienti da altre città portavano doni. Come nei raduni della ‘ndrangheta a San Luca, se vogliamo cercare similitudini. L’attività lavorativa (i furti) era quasi quotidiana. A Reggio Emilia operavano gruppi di 3 o 4 persone, definite cellule e guidate ciascuna da un capo. Erano pronte a partire per altre città o per l’estero, dove i furti spesso sfociavano in rapine. Uno degli indagati, per il quale non è stato previsto il carcere, era pronto a partire per una operazione in Spagna quando è stato di nuovo bloccato. All’estero si muovevano con facilità grazie alla disponibilità di documenti contraffatti. L’attività criminale è documentata fino allo scorso mese di gennaio, quando sono stati sequestrati valori proveniente da un furto commesso a Reggio Calabria ed è finito arrestato in Slovenia uno degli uomini sottoposti a misure cautelari, che in attesa delle restrizioni compiva l’ennesimo colpo.

Dice una nota della Procura: “Reggio Emilia rimane una delle basi del gruppo, ove risiedono gli associati puliti, il cui ruolo consisterebbe nel mettere a disposizione alloggi ed autovetture per la commissione di raid e dove si reinvestono parte dei proventi delle attività criminali”.

Speculare e integrata con l’organizzazione georgiana dedita ai furti è una seconda squadra di origini ucraine, che operava nella ricettazione e nel riciclaggio della merce rubata. Ogni settimana corrieri con la refurtiva partivano da Reggio Emilia con destinazione Kiev e il Mar Nero. A gestire le operazioni di import export erano soggetti incensurati titolari di società e di rapporti di lavoro nella città emiliana, mentre il capo delle attività di trasporto era domiciliato stabilmente in Ucraina. Gli oggetti preziosi recuperati dalla Mobile sono relativi a furti compiuti anche a Modena, Piacenza, Ravenna e Bologna nella nostra regione.

I tatuaggi evocativi dell’appartenenza al gruppo erano impressi sulle spalle, sui polpacci, sulle ginocchia. Si tratta di un elemento rituale che affonda le radici nella storia della “mafia russa”, così come i soprannomi degli appartenenti all’organizzazione e le espressioni utilizzate nei dialoghi. Si parla di oltre 10mila termini ed espressioni, riferiti alle attività in generale o specifici per ogni settore di specializzazione. L’economia del crimine georgiano per l’arricchimento in casa d’altri prevede diversi titoli di studio, se così li vogliamo chiamare: dai borsaioli ai truffatori, dai malversatori ai taglieggiatori. Ma solo chi ha tatuata sulla spalla una rosa dei venti a otto punte ha conseguito la laurea più ambita: quella del “Ladro di Legge” di matrice russofona, specializzato nella difficile arte dell’appropriazione di titoli altrui. In altre parole: un volgare ladro d’appartamento.

Qui però di questi ladri ce n’erano tanti. Troppi. E la Procura di Reggio ha delegato la Questura ad accertamenti e controlli all’estero eseguiti grazie alla collaborazione del servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia. Da settembre dello scorso anno gli agenti si sono messi sulle tracce di chi varcava i confini, e grazie alla piena collaborazione degli ufficiali di collegamento georgiani hanno portato al fermo delle 36 persone colpite da mandato di arresto europeo. Con Reggio Emilia hanno collaborato anche le forze di Polizia di diversi altri paesi esteri: dal Belgio alla Grecia, dalla Polonia all’Ungheria.

Questa operazione è un altro duro colpo alla criminalità organizzata che si era comodamente seduta in poltrona sulle piazze delle nostre città. Dove forse prima dell’esperienza di Aemilia l’idea del contrasto ai sistemi criminali complessi era un concetto non molto chiaro.

Comunque andranno i futuri processi, oggi anche i Kanonieri K’urdi, questi “Ladri di Legge” che hanno avuto un risveglio amaro dopo anni di attività indisturbate, debbono fare i conti con una ovvia verità. Che non per questo si traduce automaticamente in una necessaria e doverosa realtà: se c’è una incompatibilità ambientale a Reggio Emilia, essa riguarda i sistemi criminali. Non chi li combatte.

SCRIVETECI! cgilrelegalita@er.cgil.it

Tutte le notizie in “CGIL LEGALITÁ”
Notizie Correlate
Continua a leggere...

NEL BENE E NEL MALE

di Paolo Bonacini, giornalista 1495 interdittive antimafia in Italia nel 2022, contro le 2078 del 2021. Un calo…