Verità per Giulio Regeni

IL LINGUAGGIO DEGLI INCENDI (seconda parte)

di Paolo Bonacini, giornalista

Prendiamo atto che le auto bruciano in provincia di Reggio Emilia anche tra un articolo e l’altro che fanno il punto sugli incendi. Aggiorniamo il database inserendo quello, più preoccupante, avvenuto nella notte del 9 novembre 2021: una BMW serie 5 andata a fuoco in via Filippo RE, in pieno centro di Reggio Emilia, con alcuni altri mezzi coinvolti. Il rogo è sicuramente doloso perché le telecamere di videosorveglianza hanno ripreso la sagoma dell’uomo con un accendino che dà il via alle fiamme. I vigili del fuoco hanno fatto il loro lavoro e la polizia indaga. In attesa di sapere il chi e il perché, torniamo un attimo ai verbali del processo Aemilia per capire come si può appiccare un incendio senza lasciare alcuna traccia del dolo. Era stato il collaboratore di giustizia Antonio Valerio a spiegarlo ai PM: “Si piglia una tanichetta di plastica, la si riempie un po’ di benzina e gasolio, la si posiziona sotto l’auto con una diavolina accesa sopra. Si dà fuoco e la diavolina si consuma, finché buca la tanica e salta tutto. Va la Scientifica e non trova nulla! Non trovano tracce”.

Il metodo torna d’attualità anche dopo lo smantellamento dell’aula bunker di Reggio Emilia, negli incendi che riguardano aziende agricole e depositi di rotoballe. Una vera piaga, con oltre trenta roghi nell’ultimo triennio e danni per milioni di euro. Il caso più recente di fuoco in agricoltura, avvenuto la mattina del 6 settembre 2021, è in un campo di Sant’Ilario al confine con Parma. Le fiamme si alzano da una montagnola di sterpaglie ma un residente della zona riesce a bloccare l’incendio con secchi d’acqua. I carabinieri intervengono e trovano sul posto alcune bottiglie piene di benzina, le cosiddette bombe molotov, e tavolette di diavolina. Proprio il materiale altamente infiammabile che si usa per innescare le fiamme nelle stufe e che Valerio utilizzava per non lasciare tracce sotto le auto mandate al rogo. Grazie alle telecamere viene identificato e denunciato per incendio doloso e porto abusivo d’armi un autotrasportatore di 31 anni, fermato con la diavolina e una pistola taser funzionante in tasca.

Il mese maledetto dei fienili è il maggio 2020, quando in venti giorni sono colpite dalle fiamme almeno dieci aziende agricole dalla pedecollina al Po. Il caso più grave a Bibbiano, con oltre 2000 rotoballe ridotte in cenere. Altre 650 vanno in fumo a Gattatico e i giornali parlano di cause naturali: “La causa è da ricondurre alla caratteristica del fieno da primo taglio, che è maggiormente ricco di zuccheri e dunque soggetto a fermentazione. E’ questo processo naturale che fa aumentare il rischio di autocombustione”. Sarà…

Altro periodo di fuoco è il settembre 2019, con quattro incendi in un mese e con il record di 3000 rotoballe bruciate a Brugneto di Reggiolo in una azienda già colpita dalle fiamme anni prima. Anche questi casi vengono archiviati con la causa “più probabile” dell’autocombustione.

Ci sono infine gli incendi che colpiscono abitazioni e case in costruzione, a partire dai tetti per arrivare ai garage, passando per le cucine. A Reggiolo, paese particolarmente martoriato dalle fiamme come l’intera zona est della provincia a ridosso del fiume Po, nel 2019 va a fuoco e viene gravemente danneggiata la cucina del ristorante Pizzeria Due Stelle. Il problema è che l’incendio si sviluppa mentre il locale è chiuso e non c’è nessun fornello acceso. Il sistema di allarme evita danni maggiori allo stabile e i quotidiani scrivono: “Sembra escluso il dolo”.

Gli incendi che divampano in 61 abitazioni della provincia sono quelli più significativi del triennio e in questo segmento si registrano anche due vittime. Sono marito e moglie marocchini, morti nell’incendio del 10 dicembre 2018 partito dalle cantine di una palazzina di via Turri: una delle aree di Reggio Emilia ad alta immigrazione più problematiche della città. Le fiamme nella notte trovarono molte famiglie impreparate e si registrarono 38 intossicati, alcuni gravi. I corpi delle vittime che risiedevano al secondo piano erano sulle scale: morti per asfissia. Per quell’incendio è stato indagato di omicidio preterintenzionale il proprietario di alcuni appartamenti che aveva debiti col condominio.

A bruciare a Reggio Emilia sono però molto spesso i tetti di case in costruzione, dove ancora nessuno abita. È storia ben nota alle cronache di Aemilia, che ci raccontano di personaggi come Gaetano Blasco (22 anni e 11 mesi di carcere in appello) che accompagnava in tour per la provincia imprenditori edili restii ad appaltare alla sua azienda la costruzione dei tetti. Faceva loro vedere i cantieri dove aveva appiccato le fiamme a chi non accettava le sue forniture. Lo racconta con dovizia di dettagli agli investigatori Baraku Valbon, un costruttore albanese: “Mi accompagnò sul cantiere per mostrarmi l’incendio e mi disse chiaramente che era stato lui a bruciare il tetto, rammaricandosi perché il fuoco non aveva preso bene”.

Questo incendio “venuto male” aveva riguardato nel 2005 la palazzina di via Mascagni, a Reggio Emilia, sede della Edil Olivo srl, di proprietà dell’ex consigliere comunale del PD, ora deceduto, Antonio Olivo. Era la prima tappa del tour dei cantieri, seguita da altre quattro. La seconda a San Bartolomeo, dove nella primavera del 2012 era andato a fuoco il tetto nel cantiere Borgo Rue Lunga (otto unità abitative). La terza tappa a Roncolo di Quattro Castella, in due palazzine realizzate nel 2008. Una tappa solo virtuale, perché Balsco dice a Baraku, chiamandolo al telefono dalla Calabria: “Vai a vedere al fratello dell’amico tuo che bella festa gli ho fatto”.

La quarta tappa nella frazione di Serio, a Vezzano sul Crostolo, e la quinta a Casaline di Albinea, dove la ditta del collaboratore di giustizia (e amico intimo di Blasco) Antonio Valerio aveva realizzato due file di villette a schiera. Questo è il caso più clamoroso, perché Blasco e Valerio avevano costruito il tetto e poi l’hanno bruciato. Dice Blasco a Baraku, per spiegare il motivo: “L’abbiamo fatto noi… Ci pagano due volte… Cosa vuoi di più?”

Anche molti di quegli incendi vengono poi attribuiti, per i miracoli che producono omertà e intimidazione, all’autocombustione per il caldo. In tempi più recenti tetti e sottotetti vanno a fuoco dopo la fine del processo in una buona metà dei 42 comuni della provincia. Sarà spesso colpa delle canne fumarie difettose, dell’incuria dei residenti, dei cambiamenti climatici. Ma i tetti vanno a fuoco anche quando, come nel 2020 a Boretto sulle rive del Po, le fiamme partono di notte, in un casolare vuoto, mentre fuori piove.

Da registrare infine, a vantaggio della letteratura sugli incendi, il caso di un piromane seriale che il 9 giugno 2021 ha colpito ancora in provincia di Reggio Emilia. È un 37enne reo confesso che già altre volte aveva incendiato dei cassonetti della spazzatura. Lo fa sempre utilizzando come miccia un preservativo usato a cui dà fuoco dopo aver consumato i suoi rapporti sessuali a pagamento. Forse per fare perdere le tracce.

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