Promossa da Nidil Cgil di Reggio Emilia, Rimini e Ravenna e le Consigliere di Parità di Rimini, Ravenna e Reggio Emilia, finanziata grazie anche alla partnership dalla Provincia di Reggio Emilia e dallo stesso Nidil, é curata dall’Università di Urbino e Ires Emilia-Romagna, l’indagine “Che genere di somministrazione” si propone di investigare le condizioni di lavoro e le forme di discriminazione presenti nel lavoro in somministrazione in una prospettiva di genere.
L’indagine ancora in corso si sta sviluppando su tre direttrici di ricerca distinte ma complementari.
La prima riguarda l’osservazione dei dati amministrativi (Ebitemp-Inail, Inps, Siler) esistenti sulla dimensione dell’occupazione in somministrazione in una prospettiva di stock e di flusso a Reggio Emilia, Rimini e Ravenna. La seconda promuove un’indagine on line che ha già avuto oltre 400 accessi alla compilazione attraverso cui sono state investigate le diverse forme e determinanti delle discriminazioni. In ultimo, compaiono le interviste a testimoni privilegiati per cogliere più in profondità le dinamiche discriminatorie.
La ricerca sarà pubblicata nella sua interezza nel marzo 2022, ma alcune prime evidenze sono già emerse per quanto riguarda il nostro territorio. In particolare:
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EBITEMP-INAIL stimano nel 2020 una media annuale di 9.932 lavoratori in somministrazione a Reggio Emilia (di cui il 39,7% donne). Nel 2020, il lavoro in somministrazione cala del -9,2% a Reggio Emilia (-3,3% per le donne). Nel 2020 il lavoro in somministrazione scende rapidamente nelle tre province e con maggior velocità per la componente femminile a Rimini e Ravenna mentre a Reggio Emilia la contrazione appare più rapida per la componente maschile (-12,7%);
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A Reggio Emilia, la flessione degli stranieri in somministrazione si allinea a quella degli italiani (-9,3% a fronte del -9,1% degli italiani) ma la caduta si scarica totalmente sulla componente maschile (-14,8% a fronte del -11,4% per gli italiani) mentre per la componente femminile si registra un incremento nel 2020 (+2,5% a fronte del -5,6% per le italiane);
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Un contratto di somministrazione solo raramente porta ad un contratto stabile e, nel caso, è più probabile che accada se il lavoratore è maschio. In media nel triennio 2018-2020, entro i 6 mesi successivi al termine di un contratto di somministrazione a Reggio Emilia, in media, trova lavoro nei 6 mesi il 76,4%, di cui il 14,7% a tempo indeterminato (15,7% per gli uomini e 13,1% per le donne);
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Il part time, spesso involontario, è molto diffuso anche nel lavoro in somministrazione: in media in Emilia-Romagna il 34,4% dei lavoratori in somministrazione nel pre-pandemia era part time a Reggio Emilia (25,5%). Il lavoro part time è principalmente femminile: a Reggi Emilia il part time tra le donne in somministrazione raggiunge il 40,9% (a fronte del 15,2% maschile);
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In fase pre-pandemia, l’analisi della struttura retributiva tra lavoro dipendente, complessivamente inteso, e lavoro in somministrazione rileva l’insistenza del gender wage gap anche nel lavoro in somministrazione e un divario retributivo sulla giornata retribuita tra lavoro dipendente e lavoro in somministrazione;
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A Reggio Emilia la retribuzione media annua lorda di chi lavora in somministrazione è il -56,9% in meno della media del lavoro dipendente e questo dipende soprattutto per un numero di giornate retribuite medie in meno, che è nella natura del lavoro in somministrazione (-46%) ma anche da una retribuzione lorda giornaliera più bassa del -20,2% che apre a delle riflessioni sul principio di parità di trattamento retributivo. Inoltre, a Reggio Emilia le donne in somministrazione, rispetto ai lavoratori maschi in somministrazione, lavorano il -17,7% delle giornate in meno, hanno una retribuzione lorda annua del -29,9% in meno e una retribuzione giornaliera del -14,4% in meno;
Insieme all’analisi dei dati amministrativi, il percorso di ricerca si arricchisce di una indagine condotta nei territori ai lavoratori e lavoratrici in somministrazione: degli oltre 400 accessi all’indagine il 51,4% è rappresentato dalla componente femminile. Alcune letture parziali ci consentono di affermare che:
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Oltre il 60,8% degli uomini e il 63% delle donne lavora in somministrazione per impossibilità di trovare un lavoro alle dipendenze della impresa utilizzatrice. Mentre il 26% degli uomini e il 21% delle donne vede nel lavoro in somministrazione una opportunità di accesso al mercato del lavoro;
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In chiave contrattuale si rileva come solo raramente ai lavoratori in somministrazione venga proposta la stabilizzazione e ancor più raramente alle le donne: al 22% degli uomini è stata proposta una assunzione a tempo indeterminato a fronte del 13% delle donne;
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Nel colloquio con l’agenzia di somministrazione al 48% delle donne sono state poste domande sulla condizione familiare (matrimonio, figli, anziani..) e all’83% sulla disponibilità al lavoro (straordinari, flessibilità), in linea con la componente maschile. Sorprende invece come al 42% degli uomini siano state poste domande sulle prospettive di carriera mentre solamente al 23% delle donne, come se la carriera fosse prerogativa solo maschile;
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il 29% delle donne e il 32% degli uomini del nostro campione afferma di essere stato vittima di discriminazioni, violenze, molestie o ricatto sul luogo di lavoro;
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se si limita l’analisi a chi si percepisce vittima di discriminazione, notiamo come la percentuale di donne a cui nel colloquio conoscitivo con l’agenzia di lavoro vengono poste domande sulla condizione familiare cresca al 60%, mentre per gli uomini rimanga sostanzialmente invariata al 44%;
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considerando le diverse dimensioni della qualità del lavoro, le lavoratrici in somministrazione (38%) risultano più insoddisfatte dei lavoratori in somministrazione (30%). Le ragioni della più alta insoddisfazione vanno ricercate dove si rileva il maggior gap di genere ovvero nella mancanza di crescita professionale e la mancanza di programmabilità di vita futura: per entrambe le dimensioni, in una scala da 1 a 10, i maschi danno un voto basso (4,5) ma le donne un voto altamente insufficiente (3,5);
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l’insoddisfazione, tuttavia, essendo legata alla percezione dipende anche dalla soggettività del singolo. A tal proposito si rileva nell’analisi della dimensione identitaria, come tra gli uomini la visione strumentale, ovvero chi guarda al lavoro solo in chiave economica e non come modalità di realizzazione della propria persona, sia più alta: 64% per gli uomini e 57% per le donne;
Questi primi dati consegnati dalla ricerca che dimostrano quanto la condizione femminile sia ancora pervasa da gap salariali, discriminazione in ingresso nella fase di colloquio, molestie e ricatti nei luoghi di lavoro; dal part-time involontario, dall’impossibilità di conciliazione tra vita e lavoro, dall’impossibilità di ambire ad un avanzamento di carriera.
Lo strumento della somministrazione, quindi, non può esimersi dalla sfida complessiva volta a costruire un mercato del lavoro che tenga in considerazione il contesto generale e i dati, oggetto della ricerca, restituiscono uno scenario che merita una riflessione seria e un ripensamento generale delle condizioni di quei lavoratori e lavoratrici che accedono al mercato del lavoro attraverso lo strumento delle agenzie per il lavoro. Non basta dire, occorre fare.
La Segretaria generale Nidil Cgil di Reggio Emilia
Khedidja Sayah
La Consigliera di parità provincia di Reggio Emilia
Francesca Bonomo