di Paolo Bonacini, giornalista
Ha chiesto quattro ergastoli per altrettanti imputati il PM Beatrice Ronchi, in Corte d’Assise a Reggio Emilia, al termine della sua requisitoria al processo Aemilia 92. Alla sbarra nel primo grado del rito ordinario sono importanti esponenti della ‘ndrangheta cutrese, accusati della morte di Nicola Vasapollo, ucciso il 21 settembre 1992 a Reggio Emilia, e Giuseppe Ruggiero, colpito alle 3,30 di notte il 22 ottobre successivo a Brescello. Morirono sotto i colpi di pistole semiautomatiche 9×21, 7,65 e calibro 38 special: due azioni eclatanti per mettere la parola fine alla guerra per il controllo del territorio emiliano che si era scatenata all’interno della ‘ndrangheta cutrese. Ergastolo e tre anni di isolamento diurno per il capo della omonima cosca Nicolino Grande Aracri detto Mano di gomma, che ha ascoltato in collegamento audiovideo dal carcere di Opera a Milano dove si trova recluso al 41 bis. Deve già scontare almeno un altro ergastolo dopo la sentenza divenuta definitiva del processo Kyterion a Catanzaro. Ergastolo e isolamento diurno anche per gli altri tre imputati: Angelo Greco detto Linuzzo, nato a San Mauro Marchesato e recluso a Torino, Antonio Lerose detto Il bel René, nato a Cutro e residente a Bologna, Antonio Ciampà detto Coniglio, nato e ancora domiciliato a Cutro. Per Ciampà e Lerose, attualmente liberi, la dott.ssa Ronchi ha chiesto anche la misura cautelare dell’arresto In quanto entrambi non hanno mai, secondo l’accusa, interrotto i loro contatti con la ‘ndrangheta e smesso di investire i proventi delle attività criminali.
Per gli stessi due omicidi erano già stati condannati nel rito abbreviato, con sentenza passato in giudicato, il capo della cosca autonoma emiliana Nicolino Sarcone (30 anni) e il collaboratore di giustizia Antonio Valerio (8 anni).
Vasapollo e Ruggiero furono raggiunti dai due commandi nelle proprie abitazioni dove si trovavano agli arresti domiciliari. Furono due azioni programmate con cura, nel caso di Brescello utilizzando un mascheramento da Carabinieri e arrivando a bordo di una finta auto dell’Arma, in una faida di ‘ndrangheta che insanguinò le cronache della provincia reggiana senza esclusione di colpi. Altri cadaveri furono sparsi tra i dirupi delle colline e le profonde acque del fiume Po. Una guerra che colpì anche in Lombardia e in Calabria, raggiungendo l’apice nella tentata strage di Reggio Emilia, quando nel dicembre 1998 il killer Paolo Bellini gettò una bomba a mano al bar Pendolino, luogo d’affari per la cosca Grande Aracri, provocando decine di feriti. Fu un crescendo fino al 2004, quando l’uccisione dello storico boss Antonio Dragone detto Totò, decretò la fine delle lotte intestine consentendo da quel momento ai Grande Aracri e ai Sarcone di comandare indisturbati in Emilia.
Nella requisitoria durata diverse udienze il Sostituto Procuratore Antimafia Beatrice Ronchi ha messo in risalto il contributo decisivo offerto in questo processo, come in Aemilia, dai due collaboratori di giustizia Antonio Valerio e Angelo Salvatore Cortese, definiti “due esponenti di vertice della ‘ndrangheta, che avevano stretto un particolare legame fiduciario con Nicolino Grande Aracri vivendo in prima persona i momenti centrali delle vicende e partecipando anche ai due omicidi del 1992”. L’attacco più duro del PM al capo storico è stato sulla pubblicità del processo: “Rispediamo al mittente tutte le illazioni campate in aria sui servizi giornalistici. Grande Aracri sa benissimo che gli interrogatori dei collaboratori sono di gran lunga antecedenti alla diffusione del processo e si scaglia contro Facebook e la stampa per tutelare la propria immagine in seno alla ‘ndrangheta. Perché la stampa, riferendo di lui in questo processo, contribuisce a svelarne la miseria, i goffi tentativi di approntare spiegazioni assurde, false ed inverosimili, gli espedienti, le scorrettezze e i tradimenti verso i sodali di cui ha deliberato la morte, le trame, gli intrallazzi, le tragedie, di cui era capace, e che svelano la sua sconfitta. Grande Aracri cerca di conservare il suo regno ma perde il consenso popolare nella ‘ndrangheta grazie a questo processo che segna la sua sconfitta rispetto allo Stato”.
Ora la parola passa alle difese, dopo le richieste di risarcimento presentate al termine della requisitoria dalle due parti civili presenti al processo. Per il comune di Brescello ha parlato l’avv. Salvatore Tesoriero, con il primo cittadino Elena Benassi presente in aula. Per l’associazione Libera il vice presidente avv. Enza Rando, che ha portato il suo contributo di riflessioni legato alla profonda conoscenza dei fenomeni di mafia maturata in tanti anni di lotte in prima linea.
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